Haiti, diario dalla fine del mondo - 3

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20/01/2010

Terza parte del diario di Tamar Hahn, portavoce dell'ufficio UNICEF per America Latina e Caraibi, dai luoghi del terremoto che ha devastato Haiti

(segue dalla seconda parte)

 

 

È passata una settimana da quando il terremoto ha trasformato quello che già era un luogo disperatamente povero del mondo in un’emergenza umanitaria in piena espansione, e la corsa contro il tempo per portare soccorso alla popolazione di Haiti continua.

 

Gli aiuti continuano ad arrivare quotidianamente via terra e via aria e la distribuzione di acqua pulita, cibo, kit per l’igiene e altre forniture salvavita è estremamente migliorata.

 

Nonostante ciò, ogni giorno porta con sé nuove sfide.

 

Centinaia di persone, se non migliaia, stanno lasciando Port-au-Prince, con i loro effetti personali impacchettati o stretti in valige che portano sulle loro teste nel percorso verso la campagna.

 

Ma in migliaia ancora affollano accampamenti spontanei, piazze, scuole, persino un campo da golf.

 

Questi campi sono diventati microcosmi di sopravvivenza.

 

Un uomo ha portato un generatore che utilizza per caricare centinaia di telefoni cellulari, le donne cucinano sul fuoco qualsiasi cibo riescono a procurarsi, alcuni campi hanno anche organizzato un comitato per coordinare i loro bisogni.

 

Nonostante i saccheggi e le violenze che si stanno verificando in alcune zone, ciò di cui sono stata testimone è per lo più una stupefacente resistenza da parte delle persone.

 

Oggi l’UNICEF e i le organizzazioni partner hanno mandato in giro 140 autobotti che, nonostante la penuria di carburante, hanno distribuito acqua potabile a oltre 140.000 persone.

 

Sono stati consegnati viveri anche a un orfanotrofio in cui risiedono 40 bambini (e altri 50 arriveranno a breve).

 

Oggi usciamo per andare a constatare la condizione dei minori rimasti separati dai familiari. Nei centri temporanei allestiti dall’UNICEF è assicurato alloggio, cibo e assistenza a 900 bambini che si sono ritrovati da soli nel mezzo di questa emergenza.

 

È un compito che porta via molto tempo dato che solo per fare un giro della città ci vogliono ore; ma emerge un quadro più chiaro della situazione e l’UNICEF è in azione per fornire una soluzione.

 

Il primo posto in cui siamo andati ora che i centri temporanei sono stati allestiti e sono in funzione è stato l’ospedale da campo in cui l'altro giorno avevamo incontrato Sean e “Baby girl”.

 

Oggi sono tornata qui con il nostro consulente regionale per la Protezione dell’infanzia, Nadine Perault, per prendere Sean, Baby Girl e altri due bambini, (Sandie, 9 anni e Medoshe che ne ha 6), per portarli al Centro.

 

Ma i medici ci hanno detto che Sean e Medoshe non sono ancora pronti per andare via. Le loro ferite ancora non sono guarite e sono a rischio di infezione.

 

Sean e Sandie sono diventati subito amici e una donna - il cui figlio di 15 anni si trova accanto a Baby Girl - è diventata la sua seconda mamma. La nutre, la culla e la solletica e Baby Girl ride per la prima volta da quando è arrivata. 

 

Ci rendiamo conto che sarebbe crudele separare Sean e Sandie e che sarebbe meglio lasciarli tutti insieme.

 

Per i prossimi due giorni, finché non saranno tutti pronti per lasciare l’ospedale, i bambini rimarranno tutti insieme all’estremità più lontana della tenda-ospedale, proprio accanto allo spazio di riposo di medici e infermiere.

 

La ragione di tenerli qui è per permettere al personale medico di tenerli d’occhio dato che diverse persone hanno tentato di portarli via dal paese.

 

L’adozione illegale era già una questione che suscitava preoccupazione prima del terremoto. Nel mezzo del caos seguito al terremoto è diventata una concreta preoccupazione per le autorità haitiane che temono che i bambini possano essere portati via dal paese senza che siano seguite le procedure legali adeguate.

 

L’adozione può essere un’opzione praticabile per molti bambini che hanno perso i loro genitori, ma a soli sette giorni dal terremoto è ancora ragionevole pensare che molte persone siano ancora alla ricerca dei loro bambini o dei figli dei loro parenti.

 

Per prevenire sottrazioni illegali di molti bambini l’UNICEF ha distaccato due membri del suo staff all'aeroporto, per coordinare i controlli dei documenti.

 

Marie Yolene Milord, 9 anni, è arrivata all’ospedale ieri con un braccio rotto ed è un buon esempio del perché abbiamo bisogno di assicurare di fare il meglio per i bambini rimasti senza le cure parentali ad Haiti.

 

Marie è una restavek, cioè una dei quasi 200.000 bambini affidati da genitori poveri a parenti o a famiglie sconosciute nella speranza che possano garantire loro una vita migliore.

 

La realtà è che questi bambini sono costretti a lavorare come domestici, non vengono mandati a scuola e sono sottoposti a violenze e abusi.

 

Marie Yolene era andata a prendere l’acqua quando c'è stato il terremoto.

 

Quando una lastra di cemento le è caduta addosso e le ha rotto il braccio, la famiglia presso la quale si trovava l’ha portata qui all’ospedale e l’ha abbandonata.

 

Ora tutto quel che vuole è che la riportiamo al villaggio di Les Cayes, nel Sud dell'isola, dove è nata.

 

«Mia madre è morta, ma penso che mio padre sia ancora vivo», ci dice. «Se mi portate lì potrei riconoscere la mia casa. Voglio solo tornare a casa.»

20/01/2010

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