Bangladesh, la storia di Swapna che scoprì i suoi diritti

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19/12/2010

L'autrice di questa storia dal campo, Elisa Birri, partecipa al programma Giovani volontari sul campo che prevede la sua collaborazione della durata di sei mesi (settembre 2010 - marzo 2011) con l'UNICEF Bangladesh per il progetto Protezione dei bambini a rischio.

Chittagong, 7 novembre 2010. Comincio la mia giornata nel Drop-In-Center (Centro di accoglienza per ragazze - DIC) di Chittagong partecipando alla quotidiana sessione di meditazione, tecnica molto usata in Bangladesh, da indù, buddisti e anche dalla maggioranza musulmana.

Le ragazzine ospiti del Centro sono molto concentrate e si rilassano meditando, ma qualcuna dorme e due di loro si agitano un po’ durante la sessione. A fine sessione, con l’aiuto di un interprete che traduce dall’inglese al Bengali, chiedo loro come si siano sentite e cosa pensino della meditazione, se ne vedono l’utilità.

Dico loro che alle volte concentrarsi e rilassarsi è molto difficile, soprattutto se si hanno avute esperienze dolorose o difficili nella propria vita, perchè proprio durante la meditazione saltano alla mente i ricordi di esse, come pensieri invasivi che non vogliono andarsene.

Chiedo se qualcuna voglia condividere la sua esperienza riguardo alla meditazione. Molte dicono che stanno molto bene dopo averla praticata perché riescono a studiare meglio e si sentono più serene. Altre dicono che si addormentano e non riescono a concentrarsi perché sentono la mancanza chi della mamma, chi del fratello. Altre dicono che non riescono a stare ferme perche si ricordano cose brutte e cercando di cacciare questi pensieri.

Dico loro che la meditazione è una tecnica molto utile per la salute fisica e mentale e che chi ha difficoltà non si preoccupi perché praticandola riuscirà ad usarla solo per stare meglio.

Spiego alle ragazze che oggi sono qui perché vorrei avere la possibilità di parlare con qualcuna di loro da sola, in quanto sono interessata a conoscere le loro idee e la loro opinione sulle attività del Centro.

Il DIC - spiego - è un centro creato per i bambini, per cui sono le loro idee ad essere importanti per poter migliorare eventualmente il servizio. Sono molto stupite ma subito tre di loro alzano la mano e dicono di voler parlare con me. Le altre sono un po' timide.

Un'infanzia perduta

Una di loro si chiama Swapna, la intervisto per prima perche alle 11 deve andare a scuola. Swapna ha 15 anni e da tre anni vive nel DIC. Frequenta la scuola pubblica, le piace lo sport e chiacchierare con le compagne di classe. Le piace molto quando i suoi professori raccontano qualcosa sugli altri paesi. Il suo sogno è andare all’università e diventare ingegnere.

Dice di fidarsi solo di se stessa e di Dio (“Devo credere in Dio altrimenti non posso credere nemmeno in me stessa”). Dice di essere molto stupita che una persona straniera voglia conoscere le sue idee, perché non le era mai successo prima. Quando viveva con la sua famiglia doveva solo stare zitta e obbedire.

Racconta spontaneamente la sua storia e come sia arrivata nel DIC. Quando ha due anni Swapna perde il padre. La madre decide di spostarsi dal villaggio dove vivono a Chittagong perchè non riescono a procurarsi il cibo utile a sopravvivere. Trova lavoro nell’abbigliamento ma i soldi sono sempre troppo pochi e deve lasciare Swapna da sola a casa, per cui decide di risposarsi.

I problemi cominciano quando nasce il nuovo figlio. Il patrigno non vuole che Swapna frequenti più la scuola ma si occupi delle faccende domestiche. Sia la madre che il patrigno cominciano a trattarla come una domestica, danno il cibo solo all’altro figlio.

Swapna all'epoca ha 8 anni, e certi lavori per lei sono davvero pesanti. Inoltre senza un'alimentazione adeguata davvero non ce la fa, spesso le cedono le gambe e le fa molto male lo stomaco. Il problema è che se non riesce a finire tutti i lavori il patrigno la punisce, picchiandola duramente.

Un giorno Swapna sente che sta svenendo dalla fame cosi decide di prendere il cibo del fratellastro. La scoprono. Il patrigno, quella notte, abusa sessualmente di lei.

Questo incubo continua per due mesi finche Swapna decide di trovare il coraggio per scappare e si rifugia in un centro vicino a casa dove fanno dei corsi di cucito per ragazze gestiti dalla Organizzazione non governativa Jogajog International.

I vicini di casa avvisano i genitori di Swapna che si trova lì e la madre la va a riprendere. Lei, spaventata, si mette a piangere e racconta tutto alla professoressa del corso, la quale la porta nel Centro di accoglienza di Aparajeyo Bangladesh (ONG partner dell'UNICEF per il progetto "Protezione dei bambini a rischio").

Mentre mi racconta la sua storia Swapna piange, ma continua a raccontare perché vuole farmi conoscere i problemi dei bambini in Bangladesh. Le piace molto vivere nel Centro, specialmente perché dopo aver seguito un corso di istruzione non formale ha potuto essere reinserita nella scuola ufficiale, che frequenta quotidianamente e dove è ormai diventata la prima della classe.

Vorrebbe che ci fosse una biblioteca perche nel tempo libero le piace tanto leggere ed imparare cose nuove ma ci sono solo 5 testi e lei li ha già letti più volte. Le piacerebbe avere altre occasioni per parlare con qualcuno come oggi ha fatto con me, perché dice che le è servito tanto e solo cosi può cercare di superare il suo passato.

Senza diritti

Le chiedo cosa farebbe se avesse una bacchetta magica. Mi risponde che la userebbe per cambiare la mente del suo patrigno, per poter avere la possibilità di andare all’università e per aiutare altre bambine che, come lei, hanno avuto esperienze di abuso o violenza.

Infine le chiedo cosa pensi del fatto che in Bangladesh molte ragazze diventino mamme prima dei 18 anni. Dice che è legato al matrimonio precoce, che sicuramente sono state obbligate a sposarsi dalla famiglia e che a 14 anni non sai ancora chi sei per cui non puoi  capire un uomo o crescere un bambino.

Dice che sua madre ha avuto lei a 13 anni e che la sua salute è pessima, ma l’estrema povertà porta a questo. Le donne non hanno il coraggio di lottare e spesso non conoscono i diritti che hanno.

In Bangladesh molta gente pensa ancora che i problemi delle donne si potrebbero risolvere se le donne mettessero il burqa e molti bambini non sanno che gli adulti che li picchiano (che siano genitori, professori o forze dell’ordine), commettono un reato.

Ringrazio Swapna per le sue parole, per il mio lavoro sono molto utile: è solo partendo dalle idee dei bambini che si può lottare per migliorare la loro condizione.

19/12/2010

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