Libia, appello dell'UNICEF: si apra un corridoio umanitario

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24/03/2011

«La popolazione in Libia sta ancora soffrendo. Sappiamo che il cessate il fuoco nonostante la risoluzione dell'ONU non è rispettato, chiediamo che si apra un corridoio umanitario per assistere la popolazione.»

È questo l'appello che lancia la rappresentante dell'UNICEF in Tunisia, Maria Luisa Fornara, che si trova in un campo profughi (il Choucha Refugee Camp) al confine con la Libia.

Il campo, allestito da più o meno un mese, ospita oggi circa 7.000 persone fuggite dalla Libia, dove si trovavano per motivi di lavoro.

In minima parte si tratta di libici; per lo più sono sudanesi, tunisini, egiziani, iracheni, cittadini di altri Paesi dell'Africa Subsahariana.
 
«In questo momento» spiega in un'intervista telefonica con l'ANSA «non si può portare loro alcun aiuto. Il conflitto continua e, nonostante la risoluzione dell'ONU, il cessate il fuoco non è stato rispettato.
Siamo molto preoccupati. Noi, insieme alle altre agenzie umanitarie, ci stiamo preparando per l'eventualità che si possa aprire il corridoio umanitario.

Ci stiamo preparando in particolare sia dalla parte dell'Egitto sia della frontiera con la Tunisia. Ci auguriamo che ciò si realizzi al più presto.» 

Le storie che raccontano le persone che sono arrivate al campo - riferisce ancora Fornara - sono di sofferenza. «Queste persone sono scappate velocemente, hanno perso quel poco che avevano. Ci hanno raccontato di violenze e di furti. Sono persone che hanno vissuto un calvario.

Non abbiamo tante informazioni su ciò che avviene in Libia ma sulla base di ciò di cui siamo venuti a conoscenza, come UNICEF siamo molto preoccupati

Non ci sono solo rischi per la vita ma anche problemi di sicurezza, alimentazione, assistenza sanitaria. «Sappiamo di violenze e riteniamo che possano interessare anche i bambini

Al campo Choucha, dove fra l'altro opera anche l'UNHCR/ACNUR (Alto Commissariato ONU per i Rifugiati), ci sono 420 nuclei familiari, al loro interno 150 bambini.

L'UNICEF si occupa di igiene e sanità (ha, ad esempio, allestito latrine e docce) e ha sottoposto i bambini a vaccinazioni per combattere eventuali epidemie. È stato anche predisposto un programma
psicosociale ed un'equipe specifica per i bambini.

«Ci sono famiglie che hanno bisogno di supporto psicologico» spiega Maria Luisa Fornara. «Infatti, sono persone che provengono da ambienti violenti e spesso hanno subito traumi psicologici

È stata inoltre condotta una ricerca dei genitori per i minori non accompagnati. «C'è stato qualche caso. Si è trattato di ragazzi, di 16 e 17 anni, che già si trovavano in Libia da soli per lavorare.»

Per le persone ora nel campo, in particolare quelle provenienti da paesi in guerra, come il Sudan, «si prevede una lunga permanenza. Non vogliono tornare nel loro paese anche se hanno lì parte della famiglia

Cosa ne sarà di loro? «Questo è un problema aperto. Per ora restano nel campo.» 

24/03/2011

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