Test rapido per l'HIV pediatrico, un'innovazione per il Malawi

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19/07/2016

20 luglio 2016 - La drastica riduzione dell'AIDS pediatrico (-70% dal 2000 a oggi, secondo le stime più recenti) è uno dei più grandi progressi della sanità globale, che vede l'UNICEF fra i protagonisti. 

Dietro questo successo, che equivale a 1,6 milioni di vite salvate, c'è un lavoro capillare, costante e poco conosciuto, che si avvale dell'impegno di migliaia di operatori sanitari sparsi fin nelle aree più remote dell'Africa (è qui che la pandemia dell'HIV-AIDS ha mietuto gran parte delle sue vittime) e di piccole ma utilissime innovazioni come quella che stiamo per raccontarvi.

Magaret Jafalie si reca all'ambulatorio di Ntaja, nel sud del Malawi, con il piccolo Tiyamika, di appena 6 settimane - ©UNICEF/UN025018/Chikondi ©UNICEF/UN025018/Chikondi

 

Ogni giorno, in media, 8 donne sieropositive con i loro figli arrivano a piedi, spesso percorrendo grandi distanze, all'ambulatorio di Ntaja, cittadina del distretto di Machinga, nel sud-est del Malawi, per effettuare un controllo di importanza vitale per la salute del loro bambino.

La diagnosi infantile rapida dell'HIV è parte integrante del programma di salute materno-infantile. 

L'operatore sanitario pratica una piccola puntura nel tallone del neonato e raccoglie il campione di sangue nella provetta - ©UNICEF/UN025026/Chikondi ©UNICEF/UN025026/Chikondi


La struttura fornisce un sistema innovativo, per il Malawi, che abbrevia notevolmente i tempi di attesa per i risultati.

Conoscere prima possibile lo status di un bambino a rischio di HIV è di fondamentale importanza per iniziare la terapia anti-retrovirale che potrà prevenire la degenerazione dell'infezione in AIDS e salvargli la vita.

L'operatore sanitario pratica una piccola puntura sul tallone del neonato e raccoglie il campione di sangue in una cartuccia.

L'operatore sanitario Michael Bulla introduce la cartuccia con ilo campione di sangue nel mini-laboratorio EID - ©UNICEF/UN025013/Chikondi ©UNICEF/UN025013/Chikondi

 

L'operatore Michael Bulla inserisce la cartuccia contenente il campione di sangue nel dispositivo per l'analisi.

Questo macchinario, denominato EID (Early Infant Diagnosis), è uno dei tre tipi di laboratori portatili che l'UNICEF utilizza nella sua strategia "Point of Care" per la lotta all'HIV-AIDS, che punta a rendere autonomi i piccoli ambulatori in aree rurali, riducendo al contempo costi e tempi di attesa e soprattutto il disagio per i pazienti, che altrimenti sarebbero costretti a tornare a settimane di distanza dai test, circostanza che spingerebbe molti a rinunciare alle cure.

Della strategia "Point of Care" fanno parte anche i mini-laboratori CD4 per la conta dei linfociti - usati per monitorare le condizioni del sistema immunitario del paziente e valutare quando avviare la terapia farmacologica - e i Viral Load (VL), che misurano la "carica virale" nel sangue dei pazienti HIV-positivi e forniscono indicazioni per modulare la terapia.

Magaret è felice dopo avere ricevuto dal tecnico di laboratorio Akuzike Mkalie l'esito del test: il piccolo Tiyamika non ha il virus! - ©UNICEF/UN025015/Chikondi

©UNICEF/UN025015/Chikondi

Dopo meno di un'ora, il tecnico di laboratorio Akuzike Mkalie incontra mamma Margaret, consegnandole lo stampato con il risultato del test: Margaret è raggiante, il piccolo Tiyamika non ha l'HIV!

Per avere la risposta, fino a qualche tempo fa, occorrevano fino a 2 o 3 mesi di tempo, perché i campioni di sangue dovevano essere inviati nelle rare strutture dotate di laboratorio di analisi, e le donne dovevano successivamente tornare a piedi, spesso da molto lontano, per ritirare i risultati.

Grazie ai mini-laboratori, adesso basta un solo viaggio e un'attesa di appena 50' per sapere se il bambino è sano o deve avviare le cure anti-retrovirali.

Vuoi approfondire il tema delle tecnologie della strategia "Point of Care"? Leggi l'articolo dal sito globale dell'UNICEF (in inglese).

(Storia tradotta e ampliata da UNICEF Italia. Fonte: Medium.com)

19/07/2016

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