Haiti, il dramma dei bambini soli

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24/01/2010

Essere bambini non è mai stato facile né sicuro ad Haiti, il paese con tassi record di povertà e mortalità infantile. Il terremoto ha reso orfani tantissimi bambini, moltiplicando il rischio di traffici illeciti già in corso prima della tragedia. L'UNICEF segue una strategia precisa per rintracciare i minori soli e ricongiungerli alle famiglie

Erano già figli di un Dio minore i 50.000 bambini di Haiti che prima del terremoto vivevano in istituto e i 50.000 ragazzini orfani di entrambi i genitori (ma gli orfani di almeno un genitore sono parecchi di più), i 4.000 bambini di strada, i 200.000 disabili: un esercito di dimenticati.

 

Molti di loro non ce l’hanno fatta. Per altri, in queste settimane, abbiamo gioito dei miracoli che li hanno riportati alla luce. A ricordarci forse che nella speranza c’è sempre spazio per una storia da ricomporre.

 

Ma tutti sappiamo che non basta far sopravvivere i bambini di Haiti estratti dalle macerie. Molti hanno subito ferite profonde nel corpo e nell’anima, e tanti sono rimasti soli, se già non lo erano.

 

Bambini fantasma

Nel 2008, quando quattro uragani avevano colpito in rapida successione questo martoriato paese, tanti bambini erano rimasti separati dalle loro famiglie. L’UNICEF aveva avviato un programma per il ricongiungimento familiare per far sì che i bambini potessero ritrovare i loro genitori o per lo meno qualche parente sopravvissuto.

 

Insieme ai primissimi soccorsi, la riunificazione familiare è infatti uno degli interventi più importanti dell’UNICEF durante le emergenze. Seppure con le migliori intenzioni, spesso si pensa che aiutare i bambini significhi portarli via, magari dall’altra parte del pianeta dove tutto è più sicuro.

 

Di qui una "corsa alle adozioni" non di rado amplificata dai media, ma che raramente produce effetti concreti.

 

L’esperienza dimostra che l'adozione non può essere la prima soluzione da perseguire quando ce ne sono altre possibili e meno traumatiche dal punto di vista affettivo. Soprattutto quando mancano le condizioni di sicurezza e legalità su cui il delicato istituto dell'adozione deve necessariamente fondarsi.

 

In situazioni caotiche come quelle post-terremoto ad Haiti possono passare anche molte settimane prima che le famiglie riescano a ritrovarsi.

 

Di pochi giorni fa, per esempio, è la notizia di un padre che credeva di aver perso l’intera famiglia, finché non ha scoperto che la sua bambina di 9 anni era nella lista dei pazienti in un ospedale. È riuscito a riabbracciarla in un centro di accoglienza, dove la ragazzina era stata trasferita dopo le prime cure.

 

Famiglie da ricomporre

Qualunque bambino ha bisogno dei suoi genitori prima di tutto e ha diritto a ritrovare qualcuno della sua famiglia che se ne prenda cura, quando i suoi parenti più stretti sono scomparsi.

 

Non è un’operazione facile, ma i programmi di ricongiungimento familiare che l’UNICEF con altri partner ha già realizzato in passato si sono rivelati efficaci. In Ruanda durante il genocidio del 1994 e poi in Sudan, Sierra Leone e nell’area balcanica.

 

I bambini che rimangono soli sono ospitati nei centri di accoglienza (allestiti immediatamente dall'UNICEF). Qui vengono fotografati e le loro foto mostrate – sotto l’attenta sorveglianza di operatori che hanno in cura i bambini – alle famiglie che denunciano la scomparsa dei loro figli.

 

L'efficacia di questa strategia ha spinto l’UNICEF a ripeterla anche a seguito dello tsunami del 2004 che ha investito il Sud-Est asiatico.

 

In un’area tristemente nota per il traffico di esseri umani e lo sfruttamento sessuale, grazie ai centri creati dall’UNICEF per prendersi cura dei bambini rimasti separati dalle famiglie e per esporre le loro foto ai fini dell’identificazione, è stato possibile evitare il pericolo che essi divenissero facile preda delle organizzazioni criminali. Il 97% dei bambini venne in quell'occasione ricongiunto a familiari sopravvissuti o residenti in altre zone.

 

Si stima che ad Haiti almeno 2.000 bambini ogni anno siano vittime della tratta.

 

Farlo non è difficile, in un paese in cui solo una piccola percentuale di bambini viene registrata alla nascita. Se a questo si aggiunge che, dopo i cicloni del 2008 e altri disastri naturali, gran parte dei certificati di nascita sono andati perduti, il rischio che i bambini siano sfruttati e trasferiti illecitamente diventa, in questo momento, estremamente insidioso.

 

L’UNICEF sta lavorando a stretto contatto con il governo haitiano per rafforzare tutti i sistemi di protezione per prevenire i trasferimenti di bambini all’estero senza adeguata documentazione, in particolare nei luoghi di partenza dal paese, come l’aeroporto.

 

Ventinove organizzazioni, coordinate dall’UNICEF, sono impegnate a raccogliere informazioni e risorse per proteggere i bambini di Haiti. Uno speciale supporto è fornito dall'UNICEF alle Brigate della polizia haitiana specializzate nella protezione dei minori, che pattugliano soprattutto il confine via terra con la Repubblica Dominicana, la destinazione privilegiata dei trafficanti di bambini.

 

Anche il personale degli ospedali è stato allertato a fare tutte le necessarie verifiche prima di dimettere i piccoli pazienti, purtroppo senza evitare che ogni giorno decine di minori- in questa fase caotica della crisi - lascino le strutture sanitarie da soli o senza controlli sugli adulti che li prelevano.

 

Il peggiore terremoto che si sia mai verificato nell’emisfero occidentale si è abbattuto su un paese che in quell’area registrava già i più alti tassi di mortalità infantile e materna.

 

Bambini e madri sui quali catastrofi, povertà e dolori si avvicendano da sempre senza soluzione di continuità.

 

Noi siamo ogni giorno dalla parte dei bambini e lavoreremo perché ogni cosa torni ostinatamente a rinascere. A dispetto di tutto.

24/01/2010

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