"Noi non perdiamo la speranza": parla Zina, giovane yazida irachena

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08/03/2017

8 marzo 2017 - Fotografa e reporter, originaria di Sinjar (Iraq), Zina Salim Hassan è una ventenne appartenente alla minoranza yazida che ha partecipato, insieme ad altre 11 coetanee, a un workshop fotografico promosso dell’UNICEF e finanziato dal Ministero degli Esteri italiano nella regione curda dell’Iraq. 
 
Attraverso i loro obiettivi fotografici queste giovani donne, vittime di un destino tragico, si sono trasformate in acute osservatrici della realtà. Nelle loro immagini, a corredo di questo articolo, i profili del dramma assumono via via le linee della speranza in un futuro di pace e libertà.

Zina e altre 5 ragazze yazide sono state recentemente in Italia per presentare la mostra fotografica "Photographs of Life in Khanke Camp", esposta al Museo MAXXI di Roma.
 
Il progetto di foto-giornalismo da cui nasce la mostra è coordinato da Shayda Hessami, giornalista e fotografa curda iraniana di nazionalità francese, 
 
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"Il campo profughi di Khanke è uno di quelli in cui vivono gli Yazidi scampati alla brutalità e alla criminalità.

Quando il 3 agosto 2014 l’Isis ha attaccato le aree yazide nel Sinjar e nelle zone circostanti del nord dell’Iraq, ci sono state molte vittime – la gente è stata uccisa, fatta prigioniera e le abitazioni sono state distrutte. 

I sopravvissuti hanno lasciato le loro terre e sono fuggiti sulle montagne, per evitare la morte e il genocidio. 

Soffrendo la fame e la sete, sotto un calore intenso durante il giorno e il gelo di notte su Monte Shingal, siamo passati in Siria e di qui di nuovo in Iraq, nella regione del Kurdistan. 

Il campo Khanke è stato costruito nella parte nord-occidentale del governatorato di Duhok nell'agosto-settembre 2014. Comprende 3.120 tende che ospitano oltre 3.500 famiglie. 

Secondo l'ultima indagine demografica effettuata, più di metà (54%) della popolazione del campo è costituita da bambini e ragazzi sotto i 18 anni, fra cui ben 490 orfani, Oltre 100 sono i bambini e ragazzi sfuggiti dalle file dell'ISIS.


Nel campo ci sono 6 scuole dove si insegna in lingua araba e curda con 7.712 studenti di ambo i sessi. Oltre all'UNICEF, sono presenti anche organizzazioni come UNHCR, WFP, Amar e altre, che stanno aiutando gli abitanti fornendo cibo e aiuti sanitari e organizzando corsi di formazione divertenti ed educativi. 

Tuttavia, nel campo c’è bisogno di più assistenza e di migliori servizi. Ad esempio, servirebbe che le tende fossero ciclicamente cambiate, e nell'ambulatorio scarseggiano i medicinali. 

Purtroppo, periodicamente si diffondono epidemie di colera e malattie della pelle, come la scabbia. Sono necessarie anche opportunità di lavoro per gli adulti perché c’è un gran numero di famiglie povere, e questo costringe i loro figli a lasciare la scuola e a cercare un modo per guadagnare qualcosa sulla strada. 

©UNICEF Italia2017/Longobardi


A tutto questo ovviamente si sommano le difficoltà che devono affrontare gli abitanti di questo campo lontani dalle loro terre. 

Ma possiamo vedere anche segni di progresso e il fiorire di talenti di tutte le età. E quando si vede aprirsi un grande sorriso sui visi dei bambini che giocano a palla nelle strade del campo, ti rendi conto che la vita continua e che dobbiamo essere forti e pazienti nonostante le difficoltà che dobbiamo affrontare. 

Gli abitanti di questo campo vogliono solo vivere in sicurezza e in pace. Il loro motto è uno: non dobbiamo perdere la speranza.

(di Zina Salim Hassan)

08/03/2017

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