Sopravvivere al parto

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27/05/2011

3 maggio – L’indomani, viaggiando fuori da Buba, capiremo ancora meglio la problematica dell’accesso alle poche strutture sanitarie che esistono.

Partiamo alle 7,30 del mattino alla volta di Jabada, nel settore di Falacunda, la parte del Quinara che costeggia l’Atlantico. Impieghiamo 3 ore per percorrere 70 km. Le condizioni della strada sono pessime, in alcuni tratti la jeep sobbalza tra i canali scavati dalle piogge dello scorso anno e si inclina al punto che temiamo che possa ribaltarsi da un momento all’altro. Ci dicono che quando piove in alcuni tratti l’acqua arriva a lambire i finestrini delle jeep.

Lungo la “strada” notiamo decine di villaggi, alcuni di due, tre case, alcuni agglomerati di più abitazioni. Sono casette di mattoni di terra rossi con tetti in paglia, in alcuni casi i tetti sono in lamiera. Notiamo tante costruzioni in corso di realizzazione, e gruppi di uomini al lavoro tra mattoni di fango rosso e tetti di lamiera.

Mi confermano che la popolazione sta godendo di un momento di relativa ricchezza, grazie all’aumento del prezzo del cajou, e dunque stanno potendo investire i loro guadagni in nuove abitazioni o nelle riparazioni.

Su entrambi i lati della strada, distese sconfinate di alberi di cajou, e sotto mamme a bambini a raccogliere i frutti. Nuovamente, vediamo le scuole vuote. Nei villaggi, davanti alle case, mamme e bambini intenti a separare i frutti dalle noci, che poi saranno venduti.

In alcuni dei villaggi più grandi noto delle bilance davanti ad alcune case: mi spiegano che indicano l’abitazione di un intermediario, cui le donne possono portare i cajou raccolti per pesarli e venderli. Gli intermediari, a loro volta venderanno le noci ad altri intermediari che arrivano nei villaggi con i grandi camion. Ne incontreremo a decine, carichi di sacchi, per tutta la giornata. Ma alcuni intermediari vanno anche per i campi con la bicicletta e la bilancia, per raggiungere le donne e i bambini che raccolgono lontano dai villaggi.

Quando finalmente arriviamo a Jabada, proseguiamo ancora per qualche chilometro di sterrato per raggiungere quello che, fino al 2006, era un ambulatorio funzionante. In quell’anno è morto l’infermiere che garantiva alla popolazione locale un minimo di assistenza sanitaria di base. Il governo non ha inviato un nuovo infermiere, l’ambulatorio è rimasto chiuso, e migliaia di persone sono da anni senza alcun tipo di servizio sanitario.

Ancora una volta, abbiamo sotto gli occhi le conseguenze sulla popolazione dell’assenza di risorse umane formate. In Guinea Bissau, mancano gli infermieri, e i pochi che ci sono difficilmente sono disponibili a spostarsi nelle regioni più isolate, dove le condizioni di vita materiale sono difficilissime.

Bisogna considerare che i salari pubblici sono talmente bassi che e fino ad oggi nono sono stati accompagnati da alcun tipo di incentivo (ad esempio, l’abitazione). Il collega Victor mi ricorda che, in generale, le politiche di aggiustamento negoziate dalle istituzioni finanziarie internazionali a paesi altamente indebitati come la Guinea Bissau rendono estremamente difficile l’assunzione di nuovi dipendenti pubblici.

Per poter assistere la popolazione dei villaggi della zona di Jabada, due volte al mese un team mobile composto da un medico, due infermieri e una levatrice tradizionale trascorre qui l’intera giornata, effettuando le vaccinazioni, la distribuzione di vitamine e pasticche sverminanti, lo screening dei bambini per la prevenzione della malnutrizione, le visite prenatali.

Quando arriviamo, davanti all’ex ambulatorio ci sono già più di un centinaio di donne e tantissimi bambini, difficile contarli. Nell’accoglierci, il capo infermiere Silvio, ci presenta con entusiasmo gli altri componenti del team: un medico, un’altra infermiera e una levatrice tradizionale (dunque non un’ostetrica ma una donna che ha ricevuto un minimo di formazione sanitaria per aiutare le altre donne a partorire).

Silvio ci racconta con emozione di quanto accaduto poche ore prima: grazie alla presenza del team a Jabada, una giovane donna è sopravvissuta al parto e ha dato la luce ad una bambina! Il parto si presentava molto complesso, e solo la presenza del medico ha fatto sì che non si verificasse un esito tragico.

La levatrice ci accompagna a far visita alla giovane mamma, che con la sua piccola giace su una stuoia in una delle stanzette dell’ex ambulatorio. Non vi sono letti, dunque può solo stare per terra. Penso immediatamente a quanti rischi sta correndo la bambina stando per terra in un luogo così poco igienico, ma al contempo mi dico che è fortunata ad essere sopravvissuta. La mamma è molto stanca, parla a stento. Ci dice solo di essere felice di essere viva.

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27/05/2011

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