David Beckham visita i progetti di prevenzione dell'HIV/AIDS in Sudafrica

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03/12/2009

Il calciatore, ambasciatore UNICEF, racconta la sua esperienza in un paese all'avanguardia nella prevenzione della trasmissione dell'HIV da madre a neonato

3 dicembre 2009 - In coincidenza con la Giornata mondiale per la lotta all'HIV/AIDS, (1° dicembre), David Beckham, in veste di Goodwill Ambassador dell'UNICEF, ha visitato l'ospedale di Khayelitsha (uno slum della capitale Città del Capo), in cui si svolge un programma per la prevenzione del contagio del virus HIV da madre a figlio.


Il programma "Mothers to Mothers" (M2M), finanziato dall'UNICEF, è rivolto a donne incinte e neo mamme sieropositive, e prevede interventi di informazione e assistenza finalizzati a prevenire la trasmissione del virus da madre a figlio.

 

Qui il popolare calciatore ha incontrato donne incinte e neo-mamme affette da HIV, guidato dal dottor Mitch Besser, fondatore di M2M, che gli ha illustrato gli interventi di cui i pazienti beneficiano nell'ospedale.


Durante la visita Beckham ha conosciuto Tamara, 25 anni, madre sieropositiva che ha ricevuto le cure dal Centro e che ora assiste altre giovani madri nella sua stessa situazione. Tamara aveva iniziato i trattamenti in clinica quando era incinta di 5 mesi e, grazie ai test, alle consulenze e ai farmaci, suo figlio Sesiphi di 3 anni non ha contratto il virus.

 

«Oggi ho incontrato Tamara, che vive con l'HIV. Superando ogni difficoltà’, è diventata una consulente e un supporto per le altre donne nella stessa situazione. Mi ha detto che ciò che è necessario ora è che  gli uomini s’impegnino a sostenere le loro mogli incinte che vivono con il virus».


«Troppi pochi  mariti e partner di sesso maschile assistono le loro mogli in clinica, più uomini devono assistere le  proprie partner per ottenere il trattamento e le cure di cui hanno bisogno. Mi auguro» aggiunge Beckham «di poter contribuire a promuovere il messaggio di Tamara, e che gli uomini là fuori lo ascoltino e facciano la loro parte.»


Quasi ogni minuto, ogni giorno, un bambino nasce con l'HIV in qualche parte del mondo, per contagio da parte della mamma durante la gravidanza o il parto. La più grande tragedia è che con una terapia semplice ed economica, il contagio sarebbe praticamente del tutto evitabile.

 

Dal lancio della campagna mondiale dell'UNICEF, “Uniti per i bambini, Uniti contro l'AIDS”, nel 2005, vi sono stati progressi significativi nella cura e nella prevenzione di questa forma di contagio alla nascita.


Nel 2004, appena il 9% delle donne che avevano bisogno di farmaci antiretrovirali ne hanno beneficiato. Oggi la copertura dell’accesso al test rapido per l'HIV, a consulting per le donne sieropositive e per i loro partner, ai farmaci anti-retrovirali per madri e figli, alle pratiche di svolgimento sicuro del parto e aiuto per l'allattamento esclusivo al seno, è di oltre il 45%.


In Sudafrica il progresso è particolarmente evidente: il 73% delle madri che necessitano di cure, oggi ricevono farmaci per sé e per i loro bambini. Nel 2004 tale copertura era ancora soltanto del 15%.

 

«Mi dà così speranza sapere  che in un Paese come il Sudafrica, dove oltre 5 milioni di persone vivono con l’HIV/AIDS, è stato fatto un simile lavoro da parte dell’UNICEF e dai suoi partner per prevenire la trasmissione del virus dalle madri ai figli» ha dichiarato Beckham.


«La soluzione è economica, è semplice e può contribuire a salvare la vita di centinaia di migliaia di bambini ogni anno. I bambini hanno diritto ad essere sani per quanto possibile e non mi viene in mente nulla di meglio che poter assicurare ai bambini di nascere senza aver contratto l’HIV.

 

Se tutte le donne che ne hanno bisogno ricevessero il trattamento per prevenire la trasmissione dell'HIV ai loro bambini, una generazione di bambini liberi dal virus potrebbe essere a portata di mano. Ora, tutti hanno bisogno di incontrarsi per far si che ciò accada. Esorto tutti a sostenere questo lavoro e a salvare la vita dei bambini».


«Le giovani donne che ho incontrato oggi» ha concluso il calciatore «si sono fatte avanti per raccontare le loro storie e parlare apertamente con  me. Le ammiro e le rispetto per il tentativo di rompere lo stigma qui e spero che altre  comincino a fare lo stesso. Mi auguro che la mia visita abbia dato loro una speranza e possa inviare un messaggio agli altri: bisogna porre fine alla discriminazione verso le vittime del virus, ora.».

03/12/2009

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