Potenza

Come stai? Come ti senti? Con l'UNICEF di Potenza educazione alle emozioni

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24/02/2020

24 febbraio 2020 - Con l'UNICEF di Potenza educazione alle emozioni nelle scuole dell’infanzia di San Cataldo, Lagopesole, Sant’Angelo, Possidente e Filiano

Come stai? Come ti senti? E’ una domanda molto semplice, in apparenza, ma che in realtà sottende una notevole capacità di consapevolezza del sé che i bambini (e non solo loro) non hanno. Quante volte anche noi grandi rispondiamo “Non lo so” dopo aver litigato con il nostro migliore amico, alla domanda “Come stai?. Eppure il viso rosso, il respiro affannoso rivela il nostro disagio. Abbiamo bisogno di conoscere ed esprimere le nostre emozioni, di dare ad esse un nome. Daniel Goleman ha educato generazioni di insegnanti e non solo a sviluppare l’intelligenza emotiva.

Da tre anni porto avanti nelle scuole della provincia di Potenza un percorso di educazione alle emozioni “Non perdiamoci di vista” che Scuola Amica Unicef propone alle scuole di tutta Italia per prevenire bullismo e cyberbullismo.

Sì è proprio così, educare fin dalla più tenera età i bambini a conoscere, dare un nome, esprimere le proprie emozioni, li aiuta ad essere persone che sanno stare con gli altri senza prevaricazioni e violenza. E in questo mese di febbraio che volge al termine ho avuto tanto dai piccoli e dalle insegnanti delle scuole dell’infanzia di San Cataldo dell’Istituto Comprensivo di Bella e da tutte le scuole dell’infanzia dell’Istituto Comprensivo di Lagopesole che comprende le scuole di Sant’Angelo, Possidente e Filiano.

In queste scuole i bambini mi aspettavano e con tutti ho fatto il girotondo, cantato, ballato e soprattutto ci siamo abbracciati e fatti le coccole. E i “grandi” all’inizio sono sconcertati e si chiedono, credo, “chi è quest’uomo anziano che veste l’indaco dell’Unicef, sventola la bandiera con la mamma e il bambino che si stanno per dare un bacino, con sullo sfondo il mondo e due spighe, che abbraccia i piccoli con le ginocchia per terra. Mi guardano con stupore quando ordino “le maestre zitte, per favore”, mi definisco “vecchio dinosauro sordo” e ordino ai piccoli “A me gli occhi”, dopo aver chiesto se “sono connessi”.

I piccoli, quasi tutti, accettano il mio invito di prendersi per mano. Lasciano perfino l’amico/amica del cuore per dare la mano ad un ‘altro compagno/a” perchè “mescolarsi” maschi e femmine fa bene. Con maggiore difficoltà rispondono all’invito di fare “le coccole a chi sta loro vicino nel cerchio”. Sì le coccole di mamma e papà e di abbracciarsi per sentire il “tum…tum del cuoricino. E…subito la magia si compie. Grandi e piccoli si abbracciano col compagno vicino , e rispondono all’invito di abbracciare un’altro compagno o compagna e poi le maestre..e poi tutti insieme in un grande abbraccio che libera e fa bene. I visi si distendono e siamo pronti a raccontare le coccole di mamme e papà, quando ci siamo arrabbiati l’ultima volta e perchè. E grandi e piccoli si lasciano andare ed esprimono anche la rabbia con un urlo..lanciando un giocattolo, una palla…

E’ importante vivere con i bambini le emozioni di ogni giorno, e il giocattolo preferito, gli spaghetti tanto buoni della nonna, possono aiutare. Sì, la conoscenza del proprio sentire è davvero un percorso complesso, che va di pari passo con la maturazione fisica e psicologica di un individuo. Non solo: dare un nome ai sentimenti rende consapevoli del proprio stato emotivo. Le emozioni ci sono sempre, si “sentono”, si avvertono. In ogni momento i bambini possono sperimentare, attraverso varie situazioni, una molteplicità di sentimenti, anche contrastanti, che possono confonderli, impaurirli, proprio perché non ne hanno piena padronanza. Costruire un percorso di educazione alle emozioni ha una valenza di una portata grandissima: avvicinare alla consapevolezza del sé, significa portare contemporaneamente alla conoscenza dell’“altro”. Conoscere il proprio stato d’animo e capire quali conseguenze esso possa avere sul comportamento, vuol dire anche prendere coscienza dei propri bisogni e di quelli altrui: significa, in definitiva, maturare una modalità di sviluppo basata sull’empatia.

L’ empatia è il punto focale su cui poggia le basi il rapporto tra alunno e insegnante e, di conseguenza, l’intero percorso di apprendimento. Io mi conosco, ti conosco, conosco ciò che può ferirti, conosco ciò che può renderti felice, cerco di comportarmi accogliendo la tua persona, ti dimostro il mio affetto, oppure mi confronto con te su ciò che ci differenzia, rispetto le tue idee: questa è l’empatia. Mettersi nei panni dell’altro, comprenderne gli stati d’animo, dimostrarsi sensibili e collaborativi. Un’educazione davvero efficace non può trascurare l’aspetto emotivo e affettivo degli alunni, perché solamente attraverso un percorso di conoscenza delle emozioni, lo sviluppo intellettivo potrà definirsi nella sua interezza.

Per molti anni, l’educazione emotiva è stata trascurata, credendo fosse meno importante rispetto all’acquisizione dei saperi definiti “primari”. Oggi le neuroscienze indicano una necessaria interdipendenza tra sviluppo intellettivo e sviluppo emotivo-affettivo, per cui non si può pensare di intraprendere un percorso di apprendimento tralasciando l’aspetto emozionale degli alunni.

Con i bambini molto piccoli, nella scuola dell’infanzia, un ruolo importante è rivestito, ad esempio, dalla narrazione. Ed è proprio questa la chiave di volta dei miei incontri con i piccoli. Porto con me il cartone animato Unicef  “L’isola degli smemorati”, tratto da un racconto di “Bianca Pitzorno”. Nove vecchi hanno dimenticato di essere stati bambini e accolgono sulla loro isola nove piccoli naufraghi che scambiano per “scimmie senza peli”. E li vogliono far lavorare, non sanno come nutrirli, vogliono cambiare il loro nome. Per fortuna il mago Lucanor con i suoi tre animali che parlano li mette in riga e i nonni imparano a vivere, giocare, con i piccoli.

Un racconto che abbia come protagonisti personaggi empatici, in cui i piccoli possano immedesimarsi; che abbia come svolgimento, degli accadimenti molto vicini a ciò che può accadere ad un bambino; che abbia come finale, la comprensione di un vissuto, in cui il protagonista rivela ciò che prova, ciò che pensa. Una narrazione su base introspettiva, avvicina i bambini al mondo delle emozioni e consente loro di prenderne possesso senza turbamenti.

Il racconto dell’isola degli smemorati mi consente di riprendere il tema dei diritti dei bambini che in tutte le scuole viene affrontato e di presentare la pigotta, la bambola di pezza dell’Unicef che salva, portando cibo e medicine, la vita di tanti bambini.

Conoscere, accettare, gestire e vivere le emozioni: è una strada lunga, che non termina affatto con l’età adulta. Siamo tutti, in fondo, in cerca di “noi stessi”, della parte più intima della nostra personalità, in cerca della parte più autentica che ci appartiene. Avere cura della vita emotiva dei bambini, porre attenzioni quotidiane alle loro esperienze affettive vuol dire dare valore al loro mondo interiore, offrendo allo stesso tempo, strumenti utili per interpretarlo e conoscerlo.

Ringrazio di cuore tutti i bambini, le insegnanti, e gli insegnanti, le bidelle e i bidelli, la dirigente scolastica dell’Istituto Comprensivo di Lagopesole Amelia Maio che è stato con me nei tre incontri con le sue scuole dell’infanzia. Tornerò alla fine di maggio a Filiano per la festa della pigotta, che concluderà i laboratori con i nonni e le nonne, le mamme e i papà, per creare pigotte da adottare per salvare la vita di tanti bambini che soffrono per la fame, la violenza, la guerra.

24/02/2020

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