Potenza

Ognuno è una persona

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27/05/2019

27 maggio 2019 - I ragazzi e le ragazze delle scuole medie di Tolve e San Chirico Nuovo con l’Unicef dicono no al razzismo.

Venerdì 24 maggio, grazie al dirigente scolastico dell’Istituto Comprensivo di Oppido Lucano Bernardino Sessa ho vissuto, in qualità di Presidente del Comitato Provinciale Unicef di Potenza, una mattinata emozionante, ho incontrato ragazzi sensibili, docenti qualificati, bidelli e bidelle, personale di segreteria disponibile.

Con Makam, Musa e Caterina Traficante dell’Associazione ARCI di Rionero sono arrivato a Tolve intorno alle 9,00. Per fortuna, in questo maggio grigio, mi ha rinfrancato un sole splendido, una campagna rigogliosa e tante curve, salite e discese di strade “avventurose”. Nel centro di Tolve mi accoglie un’edificio scolastico degli anni trenta del secolo scorso. Imponente, con un’ampia scalinata e un grande portone. Mi dicono che la proiezione di “Sottopelle”, il docu-film Unicef di Giuseppe Russo che racconta i minori stranieri non accompagnati ospiti a Rionero e le famiglie di immigrati che vivono nel centro SPRAR a Tito, è prevista nella palestra che si trova nel vicolo, accanto alla scuola dell’infanzia. Parcheggio e trovo nell’ampia palestra il preside con il bidello Donato indaffarati con computer, videoproiettore e casse.

Sistemo sulle sedie la mostra fotografica di Vittorio Onorato dei protagonisti del film e accolgo i docenti e gli alunni di San Chirico che sono arrivati in anticipo. Con Makam e Caterina li invito a guardare le foto e a leggere le didascalie che le accompagnano. Nei docenti e nei ragazzi respiro grande apertura, sana curiosità. Una foto di gruppo tutti insieme e arrivano le quattro classi della scuola media di Tolve. Tutti a terra di fronte allo schermo e il preside illustra le ragioni di questo incontro, la necessità e l’urgenza di comprendere le ragioni dell’immigrazione guardando negli occhi le persone, parlando con loro per capire, senza pregiudizi.

La proiezione ha inizio e Queen, Bintou, Miracle, Mamadou, Makam dallo schermo raccontano la partenza, il viaggio nel deserto, le torture nel carcere in Libia, il mare attraversato con terrore e angoscia, l’arrivo in Italia, il presente e le speranze per il futuro.

Noto che Musa e Makam si vanno a mettere a terra e i ragazzi fanno loro posto per stare insieme, fare qualche domanda. Makam si siede accanto ad un ragazzo con la pelle scura, con un’orecchino vistoso e spesso i due si guardano negli occhi e scambiano pensieri.

Dopo cinquanta minuti lo schermo si spegne, l’emozione è nell’aria e Makam e Mousa raccontano che sono partiti perchè volevano studiare e non essere più sfruttati con lavori pesanti, spesso non retribuiti.

Makam ringrazia l’amico che più volte dalla Libia gli ha mandato il denaro per pagare i trafficanti, i terroristi che lo avevano fermato, torturato. Racconta i sei mesi di lavoro in Libia a fare il pastore, a pulire le strade. Sempre con il terrore addosso perchè “in Libia le armi sono come i cellulari le hanno tutti“, chiuso nei cofani delle macchine per andare al lavoro, con poco cibo e poca acqua.

Chiamo il ragazzo che si era seduto accanto a Makam. Si chiama Xhuljano, viene dall’Albania e vive a Tolve da tre anni con la madre. Anche lui racconta agli amici la nostalgia della sua terra e il suo sogno di diventare un cantante rap famoso. Perchè, come dice Mamadou nel film “Il sogno è come un bambino. Se lo lasci sul letto, da solo, il bambino muore. Così il sogno ha bisogno di fatica, impegno per crescere e diventare vero.” E con piacere ascolto una ragazza di San Chirico con splendidi occhi chiari che confessa che vuole fare la scrittrice, un ragazzo che vuole diventare geometra.

E anche i ragazzi di Tolve e San Chirico mi consegnano l’euro che hanno risparmiato per dare una mano al progetto #Tutti a scuola dell’Unicef che con penne, quaderni, libri, zaini, assicura l’istruzione ai bambini della Siria in guerra da sette anni.

Umberto Galimberti nel settimanale D di sabato 25 maggio scrive: “L’antropologo Marco Aime, in “Eclisse delle culture” (Einaudi) afferma che a incontrarsi e scontrarsi non sono mai le culture ma le persone. E che insistere sull’identità locale, nazionale o sovranazionale significa creare recinti invalicabili che alimentano forme di razzismo.”

Dobbiamo liberare il nostro modo di pensare dai pregiudizi per incontrare l’altro e “venirci incontro insieme” per diventare tutti più umani.


27/05/2019

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