Mutilazioni genitali: “La mia migliore amica è la mia salvatrice”

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07/03/2024

In una radiosa mattina di novembre, Mekiya Mude, 11 anni, cammina insieme alla sua migliore amica verso scuola, discutendo degli eventi del giorno precedente. Prima di uscire casa, sua madre le ha detto che al tramonto verrà circoncisa insieme a suo fratello maggiore.

Mekiya, in effetti, ha assistito ai preparativi per la festa che dovrebbe avvenire dopo il rituale. È troppo piccola per sapere le conseguenze delle mutilazioni genitali femminili (MGF), ma grande abbastanza da capire, sentendo i racconti delle ragazze della scuola e del vicinato che le hanno subite, che si tratta di una cosa molto dolorosa.

Mekiya è talmente ansiosa che decide di parlarne con la sua migliore amica, nonché compagna di classe, Magfira Kemsur "Mia madre mi ha detto che stasera subirò il taglio. Sono molto preoccupata" racconta.

Magfira non riesce a crederci. Inizia a preoccuparsi per l’amica ma anche per sé: “Significa che la prossima sarò io?” 

A scuola le due bambine sono molto agitate, riflettono su cosa sta per accadere una volta tornate a casa. D'un tratto a Magfira viene un’idea.

Si ricorda che suo padre fa parte della squadra di vigilanza del villaggio, che monitora le pratiche dannose, tra cui le mutilazioni genitali femminili. Spera che lui possa usare la sua influenza per salvare la migliore amica. 

"Quando sono tornata a casa, ho raccontato a mio padre che Mekiya stava per subire il taglio" dice Magfira. 

È stata una mossa saggia

Il padre di Magfira ha immediatamente allertato l'amministratore del kebele (un sottodistretto amministrativo) Kesi Shifa e la persona di riferimento per le questioni femminili, Woizero Botege Sancha.

Entrambi si sono diretti verso casa di Mekiya e hanno incontrato i suoi genitori.

“Sappiamo che quando le famiglie organizzano la circoncisione per i maschi, spesso viene effettuato il taglio anche sulle bambine” dice Botege. “Per questo siamo intervenuti immediatamente”.

Botege, dichiaratamente contraria alle MGF e ai matrimoni precoci, ha affrontato la madre di Mekiya.

“Sono rimasta così delusa nel sentire Sofia ancora intenzionata a mutilare la figlia. La comunità ha deciso di interrompere questa pratica”, racconta.

“Pensavo che un ‘piccolo taglio’ potesse andare bene per mantenere il rituale della sunnah” racconta Sofia. “Ero preoccupata che mia figlia sarebbe stata diversa se non lo avesse fatto. Mi sbagliavo e mio marito era contrario all’idea”.

Botege era così preoccupata che ha portato Mekiya con lei. Nel frattempo, lei e altri membri dell’amministrazione locale si sono seduti a parlare con i genitori, per convincerli che le mutilazioni genitali femminili, di qualsiasi forma, sono assolutamente inaccettabili e per nulla richiesti dall’Islam.

Dopo tre giorni, Mekiya è tornata a casa indossando un nuovo hijab e delle scarpe comprate da Botege, felice di non aver patito la sofferenza della mutilazione.

Una violazione dei diritti umani, largamente diffusa

Nonostante siano state riconosciute a livello internazionale come violazioni dei diritti umani, le mutilazioni genitali femminili continuano ad essere praticate in molti paesi del mondo, mettendo a rischio circa 4,4 milioni di bambine e ragazze ogni anno

L’UNICEF stima che questo fenomeno colpisca oltre 230 milioni di bambine e ragazze in oltre 31 paesi, tra cui l’Etiopia. Nella Regione delle Nazioni, Nazionalità e Popoli del Sud (Etiopia sud-occidentale) dove vivono Mekiya e Magfira, oltre il 50% delle adolescenti tra 15 e 19 anni hanno subito le mutilazioni genitali; spesso “il taglio” avviene prima dei 14 anni ma anche le ragazze di 19 sono sottoposte alla pratica. 

Eppure, il villaggio di Ebot Trora ha fatto passi da gigante contro le MGF. L’amministrazione locale ha messo in piedi un meccanismo che coinvolge i leader religiosi (ulmas), gli anziani, i gruppi di donne e gli ex cinconcisori. Si svolgono regolarmente discussioni all’interno della comunità per sensibilizzare i cittadini, mentre i membri della squadra di sorveglianza tengono gli occhi aperti sulle attività sospette che potrebbero mettere a rischio le ragazze. 

Botege Sancha, persona di riferimento nella comunità contro le mutilazioni genitali femminili, ha salvato Mekiya da una pratica dolorosa e inutile

Pratiche così radicate sono difficili da debellare

“Lavoriamo a stretto contatto con ulema, gruppi di donne, scuole, anziani e leader idir (gruppi di supporto locali) per farli intervenire direttamente” racconta Rawda Mohammed, responsabile del kebele. “Senza coinvolgere la comunità, è impossibile cambiare certe tradizioni”.

Alcune famiglie mandano le figlie dai parenti in altre kebele, dove l’attenzione verso le MGF non è così alta come a Ebot Trora.  “Siamo coscienti di quello che succede. Ci stiamo occupando di questo problema in questo periodo, ecco perché abbiamo iniziato a coordinare le attività di vigilanza con tutte le kebele vicine” aggiunge Rawda.

L’UNICEF sostiene le mobilitazioni fondate sulle comunità e gli interventi di cambiamento sociale con il governo dell’Etiopia, in particolare l’Ufficio per le donne, i bambini e i giovani, il procuratore generale regionale e l’UNFPA.

Meccanismi di prevenzione guidati da membri della comunità come quello di Ebot Trora stanno mostrando risultati incoraggianti. Anche i club femminili delle scuole stanno svolgendo un ruolo fondamentale nel sensibilizzare i coetanei contro questa pratica: leggi la storia di Fiyha, giovane attivista del Sudan contro matrimoni precoci e mutilazioni genitali.

Mekiya oggi è felice. Sogna di diventare un’insegnante.

Magrifa, è la mia migliore amica e la mia “awul”, la mia “salvatrice. Le voglio bene

Mekiya

07/03/2024

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