A Roma, ragazze e ragazzi si mobilitano contro la violenza di genere online
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"La violenza online non va mai sottovalutata”. Questo è stato il messaggio che studenti e studentesse dell’Istituto Europeo di Design - IED - hanno voluto lanciare con alcune campagne di guerrilla marketing a seguito di una formazione dell'UNICEF sulla violenza di genere online. "Abbiamo iniziato a parlare di cyberflashing, di molestie online, e ci siamo accorti che se non si affronta il tema con la giusta serietà, questo tipo di violenza rimane invisibile. Le persone non lo vedono come un vero problema” racconta Alessia, una delle studentesse del gruppo. Durante l’incontro, ragazze e ragazzi hanno potuto riflettere sulla gravità della violenza di genere sui social, ma anche su come gli strumenti digitali possano supportare chi si trovi ad affrontarla, principalmente donne e ragazze.
“Di tematiche sociali ce ne sono tante, ma quella legata al genere emerge con forza ogni anno” ha raccontato Andrea Natella, il professore di design della comunicazione che ha tenuto il corso al quale l’UNICEF ha preso parte con delle formazioni sulla tematica “Non imponiamo consegne né vincoli, sono ragazze e ragazzi a scegliere il tema e tutti hanno voluto dare priorità a questo filone di lavoro”. E così è cominciato tutto. Il primo gruppo, composto da Alessia, Chiara, Ferrero e Riccardo, ha scelto di concentrarsi sul fenomeno del cyberflashing, una forma di molestia che consiste nell’invio di immagini intime indesiderate, generalmente a persone sconosciute.
Il gruppo ha deciso di affrontare il tema del cyberflashing utilizzando il concetto di pacchi indesiderati, creando un'azione che simboleggiava l'arrivo improvviso e non richiesto delle molestie digitali. I pacchi, sparsi nei condomini della città, contenevano oggetti che rimandano a parti del corpo, lasciati all’interno dei pacchi come metafore del cyberflashing, proprio come un pacco che nessuno ha richiesto. Il messaggio per loro era chiaro: la violenza di genere online può irrompere all'improvviso, anche nei luoghi più familiari, come la propria casa, senza avvertire chi la subisce, e spesso chi vive queste esperienze non sa come reagire. "Per molte si tratta di contenuti da bloccare, ma solo se non lo hanno vissuto di persona” ha raccontato Alessia. “Se trasformassimo il cyberflashing in una metafora di molestia fisica, se ne parlerebbe di più?” aggiunge Ferrero per raccontare l’azione di guerrilla marketing del gruppo “È da lì che è nata l’idea: rendere visibile ciò che spesso resta nascosto, spingendo chi passa per la strada a interrogarsi, a guardare meglio.”
Stalkerator: Sensibilizzazione sul Cyberstalking
Il gruppo che ha scelto di concentrarsi sullo stalking online, formato da Alfio, Chiara, Elena e Cesare ha deciso di usare l’ironia per attirare l’attenzione e far riflettere su questo tipo di violenza. Insieme hanno messo in campo Stalkerator, la simulazione pensata per sensibilizzare i giovani sullo stalking online o cyberstalking. Simula, su base volontaria, l’esperienza di chi subisce questo tipo di violenza, mostrando a chi decidere di aderire all’esperienza tramite direct su Instagram l’intensità e la costanza dell’invasione della privacy. "Se vedi questa campagna, devi approfondire per forza", hanno spiegato. Il servizio faceva sentire sulla propria pelle, per un breve periodo, il costante stato di tensione, ansia e insicurezza provato da molte persone che subiscono o hanno subito stalking online.
La simulazione dei messaggi invadenti serviva a sensibilizzare il pubblico, che riceveva messaggi ogni ora in chat dai ragazzi sotto il falso profilo di “Stalkerator”, ma anche a indirizzarlo verso il supporto concreto, come il numero verde anti-violenza e stalking 1522. "Volevamo rappresentare l’insistenza dietro al cyberstalking, per sensibilizzare davvero, ma anche dare gli strumenti per chiedere aiuto”. "Volevamo far capire che non basta un messaggio, che non basta ignorare, che le molestie digitali sono reali, e che c'è bisogno di supporto. Abbiamo voluto farlo con un tono ironico, ma senza minimizzare mai il problema" aggiunge Cesare.
Pamela, Clara, Gaia, Carlotta e Martina, invece, hanno deciso di affrontare il tema della diffusione di immagini o video a contenuto sessualmente esplicito destinati a rimanere privati, senza il consenso della persona cui si riferiscono.. "La società tende a colpevolizzare le donne ", spiegano. "Abbiamo voluto ribaltare questa narrazione, facendo capire che la responsabilità è di chi compie l'atto violento. La vergogna non è della persona che subisce, ma di chi abusa della sua intimità per vendetta." Hanno affisso volantini in vari punti di Roma, ognuno contenente una frase provocatoria ed esplicita e un QR code. Scansionandolo, si apriva un video che partiva da un’apparente scena intima con una giovane donna come protagonista per poi trasformarsi in un messaggio diretto: "Condividere materiale intimo senza il consenso della persona coinvolta è un reato e chi lo diffonde non è mai innocente". L’obiettivo, per le studentesse, era quello di scuotere l’indifferenza e spingere a riflettere su quanto sia grave consumare contenuti di questo tipo, mettendo in luce che anche chi guarda è parte del problema. “L'idea” spiegano le studentesse “nasce da una storia personale, ed è sorprendente che anche per gli altri due gruppi sia andata cosi”, ed è proprio attraverso questa esperienza diretta che il gruppo ha sviluppato la consapevolezza di come questo fenomeno colpisca gravemente le giovani generazioni ma non solo.
Azioni di consapevolezza
"Non ci aspettavamo di avere così tanta visibilità, ma vedere la nostra azione tra le strade di Roma è stato emozionante", hanno concluso.
Ragazze e ragazzi partecipanti ai laboratori hanno riflettuto sui fenomeni ma hanno anche affrontato il tema di come aumentare la consapevolezza con attenzione a chi ha vissuto il problema e anche integrato nella narrazione strumenti a supporto. Ad esempio, il numero antiviolenza e stalking 1522, riferimento per chi subisce atti di violenza anche online. Altro strumento di prevenzione e risposta è l’app PlaySafe, un’applicazione gratuita UNICEF rivolta ad adolescenti e giovani che, attraverso il gioco, aiuta a riconoscere e reagire alle forme di violenza di genere online.
“Lo stimolo dell’UNICEF è stato una bella sfida,” ha detto Natella. “Anche per rispettare l’obiettivo di sensibilizzazione. Ci si è posti anche il problema: quanto l’azione può diventare molesta? Su tematiche sociali come queste ci sono attenzioni in più.”
E così, alcuni messaggi sono apparsi sui muri di Roma. Alcuni online, altri offline. Una narrazione collettiva, nata da domande vere ed esperienze condivise. Se camminando per la città capita di imbattersi in un messaggio che fa fermare, pensare, discutere… potrebbe essere uno dei loro.