Bambini e guerra, nel buio di Damasco (da Famiglia Cristiana)

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26/07/2012

L'articolo uscito su settimanale di Famiglia Cristiana e sul sito www.famigliacristiana.it  

Bambini e guerra, nel buio di Damasco

Il conflitto, cominciato più di un anno fa, ha fin qui ucciso oltre 500 tra bimbi e ragazzi; 45 mila sono scappati. Il loro calvario raccontato da chi li aiuta. 

 di Andrea Iacomini (Portavoce UNICEF Italia)

Combattimenti a Qusseer, nei pressi della città siriana di Homs. Foto Reuters.
Combattimenti a Qusseer, nei pressi della città siriana di Homs. Foto Reuters.

A Damasco è impossibile entrare. Ma è anche impossibile restare. Si spara e si muore. Sono circa un milione e mezzo i siriani vittime della guerra civile iniziata più di un anno fa, tra morti, feriti, mutilati e sfollati. Più della metà sono bambini. Dal 2011 aa oggi ne risultano uccisi oltre 500. L’impatto della crisi è stato ben documentato dalla Commissione indipendente d’inchiesta sulla Siria che ha registrato diverse violazioni di diritti umani. Troppi innocenti sono vittime di torture, violenze, gesti scellerati. Non hanno più incrociato gli sguardi sicuri dei propri genitori. Spesso sono rimasti soli.

L’UNICEF cerca di proteggerli dentro e fuori la Siria. 

Aiuta le famiglie a sopravvivere distribuendo kit con beni di prima necessità, cibo, vaccini ma anche pentole e utensili per cucinare, teli, coperte, prodotti igienici e medicine. 

A Damasco, Homs e in altre aree del Paese ci sono 76 mila sfollati. Di questi 45 mila sono bambini. Un dato impressionante. 

Lo racconta in maniera chiara a Wendy Bruere, operatrice dell’Unicef, Amjad, padre di Seema e Nour, gemelle di 9 anni, che l’anno scorso, andando a scuola, a Homs, la loro città, un giorno «videro cadaveri abbandonati per strada. 

Ora hanno paura di tutti i rumori», precisa il papà. Dopo questo episodio le due bambine hanno smesso di andare a scuola. «Era impossibile restare a Homs», interviene la madre, «ogni giorno la situazione peggiorava. Abbiamo provato a spostarci di quartiere in quartiere per stare al sicuro, ma ora è tutto distrutto e si rischia ovunque».

Um Karim, profuga siriana, con uno dei suoi figli, nella Valle della Bekaa, in Libano. Foto Kate Brooks/Unicef.
Um Karim, profuga siriana, con uno dei suoi figli, nella Valle della Bekaa, in Libano. Foto Kate Brooks/Unicef.

Si fugge. L’esodo di siriani verso il Libano,la Turchia, l’Irak e la Giordania sembra inarrestabile, frutto di scontri che si fannoogni giorno più feroci. «Ora che sono al riparo, in Giordania, i bambini non piangono più. Sono tornati a sorridere. Hanno ripreso a giocare. E a cantare», racconta ai nostri operatori Hana’al Zoubi, un’insegnante di Ramtha, una località a circa 70 chilometri da Amman che accoglie bimbi sfollati: «Anche i più piccoli sono in grado di identificare i diversi tipi di fucili e di pistole. Uno di loro, 3 anni, piange ogni volta che vede qualcuno che crede armato e urla "sono venuti a ucciderci! Sono venuti a prenderci!". Ora è protetto in una delle strutture gestite dall’Unicef in collaborazione con una serie di Ong locali».

Fuori dai confini della Siria, afferma l’Unhcr, ci sono oltre 110 mila sfollati e la gran parte di questi sono bambini. Piccoli indifesi, a cui sono state incendiate le case e distrutti i giocattoli. Un’infanzia negata, la loro. «Il suono delle bombe e quello delle sirene li ha resi insicuri, spesso non riescono a dormire», affermaDominique Hyde, rappresentatedell’Unicef in Giordania, «ma nei centri di recupero ritrovato il sorriso, fanno molte attività, stringono nuove amicizie». 

Si lavora anche andando di famiglia in famiglia per spiegare le varie attività e per convincere i genitori dell’utilità di questi programmi di recupero per minori bisognosi di “normalità”. Quella che meriterebbero di vivere Reem e i suoi 6 figli da quando a febbraio hanno lasciato la loro casa nel Sud della Siria, dopo che suo marito Abood è stato rapito e portato via da uomini armati. «Papà non torna più», dice uno di loro. La Noor Al Hussein Foundation aiuta i figli di Reem e glialtri bambini a superare i traumi dovuti al conflitto attraverso il disegno e una serie di attività ludiche o scolastiche. Reem conferma  che da quando sono qui c’è stato un grande cambiamento, è passata la paura e i più grandi possono addirittura tornare a studiare dopo i mesi passati chiusi in casa.

Amira, una ragazzina siriana vittima di violenze. Foto Kate Brooks/Unicef.
Amira, una ragazzina siriana vittima di violenze. Foto Kate Brooks/Unicef.

In Libano, l’Unicef promuove corsi di recupero per i giovani sfollati. Si studiano scienze e matematica. Si tengono lezioni di arabo e di inglese. L’Unicef ha formato 31 docenti ora in grado di aiutare i bambini nei campi sparsi nella Valle della Bekaa. Amida, insegnante di inglese, spiega ai nostri operatori sul campo che «i bambini, dopo un’iniziale e comprensibile ritrosia, frequentano i corsi, desiderosi di apprendere nuove parole». Conoscere. Sapere. La formazione, insomma. Non manca mai tra gli interventi di emergenza dell’Unicef. Dopo lo stress cui sono stati sottoposti, si punta a garantire ai bambini benessere psicologico e sicurezza. Agendo in questo modo si vuole inoltre coinvolgere i genitori, tenendoli aggiornati sui progressi dei loro figli. 

«Sono felici perché i bambini non vedono l’ora di andare a scuola la mattina», riprende Amida: «“Come avetefatto?”, mi chiedono tanti di loro». E racconta di Huda, uno dei bambini del centro, mai fermo ma anche tanto desideroso di imparare le lettere dell’alfabeto. Intere comunità nel Nord del Libano ospitano famiglie siriane nelle loro case. 

È un’accoglienza “anomala” ci tiene a precisare Isabella Castrogiovanni, che nel Paese si occupa di protezione dell’infanzia per conto dell’Unicef. Si tratta di famiglie povere del Nordest del Libano, «dove occorre offrire assistenza tanto ai bambini siriani quanto a quelli libanesi che vivono in condizioni precarie, alle prese con una preesistente emergenza umanitaria», bisognosi di sostegno da parte di tutti: Governo, enti locali, istituzioni e comunità internazionali.

Emergenza umanitaria. 

Una parola che fa pensare a tanti luoghi della Terra dove non ci sono solo guerre ma anche carestie, povertà, fame, malnutrizione. In contesti spesso lontani dai riflettori. 

Dunque segnati dall’oblio. 

A Damasco regna il dolore. Quando un giorno il calvario sarà finito occorrerà che il mondo non dimentichi le sofferenze di questi bambini strappati a una vita normale. Noi non lo faremo. 

L’Unicef ci sarà.

L'articolo è uscito su Famiglia Cristiana del 26 Luglio 2012 ed è on line sul sito www.famigliacristiana.it 

 

 

26/07/2012

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