Ciad, il mio viaggio nella malnutrizione - 1
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L'autrice di questo racconto, Bianca Nicolini, ha partecipato a un programma di volontariato breve in Ciad, insieme ad altre tre giovani volontarie dell'UNICEF Italia (Valentina Salvi, Saira Cutrone e Anna Babini). Per tre mesi (agosto-ottobre 2010) le volontarie hanno collaborato con l'UNICEF Ciad nei programmi di lotta alla malnutrizione infantile.
La missione in Ciad ha rappresentato senza dubbio la sfida più audace che mi sia stata proposta nei miei primi 29 anni.
Sono partita con un bagaglio pieno di oggetti insoliti come chiodi e martello, zanzariera, Lariam [antimalarico, ndr], cubo-doccia, insetticida e tanto Imodium [farmaco per la dissenteria, ndr].
Missione: aiutare il Coordinatore di progetto dell'UNICEF locale nella supervisione e controllo dei Centri Nutrizionali gestiti dall’UNICEF nelle regioni del Paese maggiormente colpite dalla crisi alimentare.
Il Ciad mi ha riservato sicuramente un caloroso benvenuto, dal momento che le temperature non sono mai scese al di sotto dei 40 gradi durante la mia permanenza. Fortuna che si trattava della stagione fresca, quella delle piogge!
Appena arrivata, la capitale N’Djamena mi è subito apparsa estranea, diversa e povera.
In aeroporto i bagagli non vengono consegnati sul nastro trasportatore; arriva un uomo con un carrello su cui vi sono le valigie, scarica tutto per terra ed ognuno si riprende il suo bagaglio… se lo trova! Già, perché tra i cerimoniali di benvenuto che il Ciad mi ha riservato c’è stato lo smarrimento del mio zaino.
Dopo una settimana di preparazione e briefing nella capitale, e dopo aver fortunatamente ritrovato lo zaino perduto, mi viene assegnata la meta: Mongo, il capoluogo della regione del Guera.
Mentre l’aereo delle Nazioni Unite decolla, ho nella mente le parole dettemi da una saggia persona, che mi ricordano: «N’Djamena è New York, in confronto a tutto il resto. Fa’ attenzione!»