La vita nei campi profughi

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15/07/2011


Camp One - Galkayo - Sabato 16 luglio

Abbiamo lasciato il compound dell’UNICEF a Galkayo, Somalia, per partire verso i campi per sfollati (IDP) della zona. Ci sono pochissime strade in cemento, la maggior parte sono sporche o piene di ghiaia. Le strade in cemento sono piene di buche, e rendono il nostro viaggio un percorso a ostacoli.

È sabato, e guidare in città è una questione di sopravvivenza. È l'inizio della settimana lavorativa, tutti sono in strada occupati nelle loro attività.

Mentre guidiamo, Maulid Warfa (Specialista Emergenze dell’UNICEF) ci dice: «molte persone in Somalia possiedono un’arma». Solo allora ci rendiamo conto di quante armi si possono vedere nelle immediate vicinanze. Tuttavia, siamo più che sicuri nell’auto blindata dell’UNICEF, accompagnata da un'altra auto, davanti, che porta i leader della comunità.

È una giornata secca e molto ventosa. Nubi di polvere circolano intorno a noi e ai bambini che ci vengono subito incontro appena arriviamo a destinazione.
Camminiamo nel primo campo, uno dei 21 campi per sfollati nel Galkayo. Questo campo ha una popolazione di circa 500-600 persone.

In primo luogo incontriamo Ubah Nurharsi, l'infermiera della clinica materno-infantile locale. Ci dice, «le persone che vengono dal sud sono diverse, quando arrivano sono spesso malnutrite e spesso contraggono la diarrea qui nei campi.» Chiediamo che tipo di sostegno l'UNICEF dà alla clinica e scopriamo che si occupa di fornire i farmaci.

Mamma: Nimco Mohamed Hassam, 25 anni
Bambini: Hawa Ibrahim (femmina, 5 anni)
Mahamad Ibrahim (maschio, 4 anni)
Mucaad Ibrahim (maschio, 5 mesi)

Questa famiglia (compresa la madre, tre figli e il loro nonno) precedentemente viveva nel Barbare Village, Regione di Baia, Distretto di Baidoa (distante circa 900 km dal campo in cui vivono ora). Hanno ricevuto un prestito dai parenti che vivono nella Somalia centrale per poter viaggiare in auto fino a Galkayo. Il viaggio è durato 15 giorni. Quando abbiamo chiesto alla madre perché hanno dovuto lasciare la loro casa, ha detto, «siamo andati via perché la zona non era sicura e c'era la siccità

Sono nel campo da fine di giugno. Chiediamo quanto tempo la madre pensa di dover rimanere qui, ci risponde: «ci rimarremo per un anno, finché non sapremo che la nostra casa è di nuovo stabile.»

Incontriamo i tre bambini con la madre, Nimco, e chiediamo quali sono le loro condizioni di salute. Siamo particolarmente preoccupati per il bambino di quattro anni. Confrontando mentalmente il suo stato fisico con quello di altri bambini che conosciamo della stessa età, ci rendiamo conto di quanto sia piccolo.

La madre ci conferma che è malnutrito e ci porta la sua tessera sanitaria. Ci dice che lo ha portato in una clinica per l’alimentazione terapeutica, sostenuta dall'UNICEF, e ha ricevuto alimenti ad alto valore calorico. Il suo peso era di 6,4 kg il 27 giugno, 7.0kg il 4 luglio e di 7,5 kg l’11 luglio. Nonostante il bambino sia moderatamente malnutrito, il suo peso sta crescendo settimana dopo settimana, grazie all'UNICEF e alla presenza del suo staff in questo campo.

Quando chiediamo a Nimco cosa ha dovuto mangiare oggi, ci dice, «non ha fatto colazione, non ho nulla da dare a questi bambini. Faccio qualsiasi tipo di lavoro per guadagnare dei soldi per comprare del riso per sfamare i miei figli.» Un sacchetto di riso è spesso l'unica cosa che possono permettersi. Nimco ci dice che per mangiare è spesso costretta a mendicare.

Chiediamo a Nimco delle vaccinazioni: «nessuno dei miei bambini è stato vaccinato, ma ho intenzione di portarli ai giorni delle vaccinazioni di madri e bambini.» Sappiamo già che ci sono i giorni delle vaccinazioni a partire da oggi, in tutto il paese. In questi giorni grandi squadre mobili raggiungono bambini - la campagna, avviata oggi (dall’UNICEF in collaborazione con l'OMS) prevede di raggiungere 1,2 milioni di bambini in tutta la Somalia. Siamo davvero contenti di sapere che conosce questa campagna e che i suoi bambini riceveranno vaccinazioni salva-vita.

Vogliamo sapere cosa pensa Nimco dell'UNICEF, del sostegno che le ha dato, «ora mio figlio si sta riprendendo, prima era molto malato. Se non gli avessero somministrato alimenti terapeutici la situazione sarebbe potuta diventare drammatica. Chissà se sopravviverà?» Continua dicendo, «mi preoccupo molto per i miei figli, per il loro futuro.»

Infine, le chiediamo cosa vorrebbe per i suoi figli, risponde: «voglio che i miei figli sopravvivano. Voglio che studino e voglio poter garantirgli sempre del buon cibo».

Chiediamo a Maulid Warfa (Specialista Emergenze dell’UNICEF in Somalia), se questo campo è cambiato da quando è stato qui l'ultima volta due mesi fa, risponde: «il campo si trova in una situazione molto peggiore, i bambini sono molto più malnutriti rispetto a prima.»


15/07/2011

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