Cronache di frontiera. Da Lampedusa a Crotone, in attesa di un futuro

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25/05/2023

Sono tanti i ragazzi e le ragazze che, ancora minorenni, intraprendono un lungo viaggio, anche soli, nella speranza di un nuovo inizio, di un futuro migliore.

Per molti di loro quest’obiettivo è ostacolato dalla permanenza prolungata in centri di accoglienza temporanea, le cosiddette strutture di prima accoglienza. 

Per ridurre la pressione nell’hotspot di Lampedusa – sotto la luce costante delle telecamere – in queste settimane si è assistito a numerosi trasferimenti in centri di prima accoglienza, che restano inadatti a garantire la presa in carico integrata e tempestiva dei bisogni specifici delle persone di minore età, tra cui l’accesso a servizi specializzati e a meccanismi di tutela. 

Prima del trasferimento nei centri di seconda accoglienza, che la normativa vigente - legge 47/2017 - indica come la migliore soluzione per i minorenni, la permanenza si protrae spesso oltre il termine dei 30 giorni stabilito dalla legge. Tra gli effetti immediati, l’aumento del rischio di allontanamento volontario dal sistema formale di accoglienza da parte dei ragazzi e delle ragazze e la conseguente sovraesposizione a rischi di violenza, inclusa quella di genere, e di sfruttamento sessuale e/o lavorativo.

Il CARA di Sant'Anna, a Crotone

Esattamente come gli hotspot, anche i CARA (Centri di Accoglienza per Richiedenti Asilo) sono strutture controllate, caratterizzate da cancellate metalliche, sbarre e numerosi container che ospitano gruppi di donne, uomini, minorenni, famiglie. Nonostante la divisione degli spazi e le dimensioni più ampie rispetto a quelle di un hotspot, resta elevato il rischio di promiscuità degli spazi.

È qui che ritroviamo molte delle persone incontrate a Lampedusa solo la settimana precedente.

M. viene dal Burkina Faso, racconta di un viaggio durato mesi. Sfuggiva al conflitto che investe da anni il suo paese. Ha il sogno di diventare meccanico, ma “tutto si è fermato” dice.

Insieme a lui anche O., gambiano, arrivato anche lui da Lampedusa insieme ad altri suoi coetanei. Lo incontriamo mentre gioca a calcio con altri ragazzi. Del CARA ci dice “rispetto all’hotspot è molto meglio qui”, spera di uscire presto però perché anche lui ha intrapreso il viaggio per realizzare un sogno.

A. viene invece dalla Guinea, si trova al CARA da una settimana. Chiede un telefono, è preoccupato, ancora non ha potuto chiamare i propri familiari.

Quel giorno, fuori dai cancelli della struttura, incontriamo A., 17 anni, tunisino, uscito dal centro di accoglienza sfuggendo ai controlli il giorno prima. Dice di volere tornare nel suo Paese: “pensavo in Italia di potere avere una vita migliore, se è questa, sono arrivato qui per nulla”.

Anche i CARA (Centri di Accoglienza per Richiedenti Asilo) come gli hotspot sono strutture controllate con cancellate metalliche, sbarre e numerosi container che ospitano gruppi di donne, uomini, minorenni, famiglie in situazioni a volte promiscue.

Tempi di permanenza e standard di accoglienza adeguati

Adolescenti e giovani con un percorso di migrazione alle spalle provengono spesso da un contesto complesso, sono molte volte segnati da possibili traumi legati alle condizioni di fuga e al viaggio, alla separazione dalle famiglie e comunità di origine, all’esposizione a forme di violenza durante il percorso migratorio. La mancanza di supporto, le lunghe attese e le condizioni di isolamento vissute in alcuni centri di prima accoglienza possono avere un effetto negativo sul loro benessere psicofisico.

Se non si allarga il sistema SAI (Sistema Accoglienza e Integrazione) assicurando sufficienti posti per i minori stranieri non accompagnati, i tempi di permanenza in strutture di prima accoglienza rischiano di prolungarsi ulteriormente. Un ritardo che può compromettere i percorsi di inclusione, compreso l’accesso a servizi essenziali, quali il supporto psico-sociale, l’offerta di corsi di lingua italiana e i servizi di orientamento legale e al territorio.

La mancanza di posti in seconda accoglienza potrebbe anche portare – come accaduto di recente - al trasferimento di minori in altri centri non idonei, in considerazione anche dell’aumento di strutture hotspot, come previsto dalla legge 50/2023 che ha convertito il cosiddetto D.L. Cutro.

Le raccomandazioni dell'UNICEF

L’UNICEF raccomanda di velocizzare i processi di trasferimento dei minorenni migranti e rifugiati come previsto dalla normativa italiana, favorendo la presa in carico all’interno di strutture adeguate e integrate nel territorio. Risulta necessario inoltre incentivare il ricorso all’affido familiare quale opzione favorita per ragazze e ragazzi che vogliono costruire un percorso di piena inclusione nella comunità d’accoglienza.

L’UNICEF è attivo in Sicilia e Calabria – e in altri luoghi di approdo tra cui la Puglia - nell’ambito di “Protect", il progetto finalizzato a rafforzare gli interventi di protezione e inclusione a favore di bambine/i, adolescenti, giovani e donne rifugiati/e e migranti in Italia. Il progetto è finanziato dalla Commissione europea attraverso il Fondo Asilo, Migrazione e Integrazione (FAMI).

25/05/2023

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