Dalla Nigeria al Camerun, un viaggio attraverso la fame
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31 agosto 2016 - «L’attacco dei miliziani di Boko Haram fu violento e inaspettato. Ho visto le loro ombre nel mio giardino e poi tutto è crollato».
I fatti che Dzam-Dzam racconta sono avvenuti nel 2014 nel villaggio di Boza, nel nord della Nigeria, dove lei, suo marito e i suoi figli vivevano da quando erano emigrati dal Camerun, qualche anno prima, in cerca di maggiori opportunità di lavoro. «La vita era bella li, fino al giorno in cui la guerra non è venuta a bussare alla nostra porta.»
Era il crepuscolo, suo marito stava facendo la doccia e lei era in cucina con due dei suoi figli, mentre altri due erano a casa di parenti, fuori del villaggio.
A un tratto, lei udì degli spari. Guardò dalla finestra e vide suo marito, ucciso dai miliziani. Per alcuni minuti, che sembrarono ore, Dzam-Dzam si nascose sotto il tavolo con i suoi bambini. I ribelli abbandonarono la zona e per miracolo non attaccarono la sua casa.
«Siamo immediatamente fuggiti» racconta la donna. «Abbiamo corso il più velocemente possibile, senza mai voltarci indietro.»
Fu soltanto una settimana dopo che Dzam-Dzam venne a sapere da altri fuggitivi incontrati lungo il cammino che i suoi due figli che al momento dell'attacco si trovavano ospiti dai parenti erano stati uccisi.
Ma non c'era tempo per il lutto. Il più piccolo dei figli che stavano con lei, di soli 3 anni, stava perdendo rapidamente peso, mentre il più grande, di 7, mostrava allarmanti segni di debolezza.
«Anche lui morì prima di raggiungere il confine» racconta Dzam-Dzam, gli occhi pieni di tristezza. «Ma dovevo continuare a camminare. Lungo la strada tutti erano affamati, e non c'era cibo né per me né per mio figlio».
Dopo una settimana di cammino e determinata a salvare l’ultimo suo figlio rimasto vivo, Dzam-Dzam giunse nel villaggio di Zamaï, nella regione dell'Estremo Nord del Camerun, dove un centinaio di sfollati avevo trovato rifugio presso le comunità locali.
Immediatamente portò suo figlio al locale ambulatorio, dove l’UNICEF e le organizzazioni partner stavano portando avanti programmi di lotta alla malnutrizione.
Il 2.2% di tutti i bambini nella regione dell'Estremo nord soffrono di malnutrizione acuta grave (la forma più pericolosa, quella che se non curata porta sicuramente al decesso del bambino), e il numero dei casi è ben oltre la soglia fissata dall'OMS per dichiarare l'emergenza.
Questa parte del Camerun è arida. Qui fa incredibilmente caldo, l’acqua pulita è scarsa, e lo era anche prima del conflitto con Boko Haram.
L’ampio flusso di rifugiati - più di 190.000 secondo l’UNHCR - ha aggiunto pressione sulle limitate risorse del paese. Si calcola che oltre 65.000 bambini siano esposti a un rischio concreto di morte per malnutrizione.
«I nostri interventi, svolti con l’aiuto di organizzazioni partner come International Medical Corp e la Croce Rossa Francese, includono l’identificazione e la cura dei soggetti affetti da malnutrizione acuta grave e la formazione di operatori sanitari per l'assistenza nutrizionale» afferma il dottor Jean-Michel Goman, esperto nutrizionista dell’UNICEF.
Dopo alcune visite all'ambulatorio il figlio di Dzam-Dzam ha riguadagnato peso, e ora è fuori pericolo.
«Vorrei dire a tutte le altre mamme che stanno soffrendo in Nigeria di venire qui, perché in questo posto si prendono davvero cura dei bambini. Guardate mio figlio, ora sta bene» sorride Dzam-Dzam.
Con il miglioramento delle condizioni di sicurezza, ora i team dell’UNICEF possono raggiungere le persone vulnerabili nelle zone che prima erano rimaste isolate.
A settembre si svolgerà per la prima volta dall'inizio del conflitto innescato da Boko Haram, una campagna nutrizionale che coprirà tutta la regione nord del paese.
«Ogni giorno nuovi casi vengono alla luce» spiega ancora il dottor Goman. «Intensificheremo i nostri interventi, fin quando le risorse finanziarie ce lo consentiranno, per garantire che nessun bambino sia abbandonato al suo destino.»