“Non c’è un posto dove tornare”. Kadijo è dovuta fuggire dal suo villaggio in cerca di cibo e acqua per i suoi figli

4 minuti di lettura

25/10/2022

Khadijo Mohamed ha 40 anni ed è una madre e una contadina della città di Dinsoor nella regione di Bay, in Somalia. È seduta all’esterno della sua tenda, un rifugio improvvisato nella periferia di Mogadiscio, mentre ci racconta il viaggio intrapreso per allontanarsi dalla sua regione d’origine, sull’orlo della carestia.

“Eravamo agricoltori, vivevamo una vita abbastanza agiata nella nostra casa piantando mais, fagioli e altre colture avevamo le mucche e quindi producevamo il latte, prima che la carestia colpisse. Le nostre vite dipendevano dal raccolto e avevamo anche dei margini di guadagno, perché piantavamo diverse colture e una parte veniva venduta mentre quella restante veniva immagazzinata”.

 

Come migliaia di famiglie in tutta la Somalia, Khadijo ha visto mancare il raccolto, perire il bestiame e venir meno la disponibilità idrica della sua comunità. È dovuta fuggire a Mogadiscio in cerca di cibo e acqua per i suoi quattro figli.

La mia famiglia si trovava bene ed era in pace. Poi è arrivata la siccità. Abbiamo sperato che arrivasse la pioggia per tutto l’anno successivo, e invece c’è stata di nuovo la siccità. Al terzo anno abbiamo deciso di caricare la macchina e di scappare via. Siamo entrati in città.

Khadijo racconta i motivi che l'hanno spinta a lasciare il suo villaggio

Senza cibo per tutto il viaggio, arrivati a Mogadiscio la più piccola sta male

Il viaggio verso Mogadiscio è stato tremendo. Non hanno toccato cibo per sette giorni e tutti i suoi quattro figli si sono ammalati. Non appena sono arrivati alla periferia della città, la più piccola, Sabirin, di due anni era gravemente malnutrita.

“Sabirin si è ammalata…l’ho portata al centro sanitario. Pesava quattro chili , mentre prima ne pesava cinque. Gli operatori sanitari ci hanno indirizzato verso l’ospedale Banadir. Quando l’ho portata lì era una bambina magrissima, paralizzata. Una volta entrati in ospedale ci hanno assegnato un letto, sentivo che sarebbe morta il giorno successivo”.

Khadijo ha vegliato sulla sua figlioletta nel letto d'ospedale mentre lottava per sopravvivere. Gli altri suoi figli erano rimasti nella loro tenda improvvisata, accuditi da un vicino.

“Sono rimasta nell’ospedale con la bambina per nove giorni. Le hanno dato cibo nutriente e ora ha preso un po’ di peso, passando da quattro a quasi sei chili. Sento che si sta rimettendo”.

Sabirin ora sta meglio, ma continua ad essere malnutrita

Nonostante sia migliorata, Sabirin è ancora malnutrita e continua a ricevere cure sanitarie nel vicino centro supportato dall’UNICEF. Viene nutrita con il cibo terapeutico pronto all’uso (RUTF).

“Quando siamo state dimesse dall’ospedale, mi hanno intimato di prestare attenzione alle condizioni igieniche” racconta Khadijo. “Mi hanno mostrato come dare la pasta di arachidi alla bambina, dicendomi di dargliene una la mattina, una a mezzogiorno e l’altra la sera, e lavarmi bene le mani. Mi hanno detto di seguire questa terapia e di contattare l’ospedale in caso non sapessi come comportarmi”.

Ogni minuto che passa, un bambino entra in ospedale a causa della malnutrizione

Sabirin è una dei 44 mila bambini ricoverati nell’agosto 2022 per il trattamento della malnutrizione acuta grave. 

L’UNICEF sta rispondendo prontamente a questa crisi in Somalia - e a quella che ha investito tutto il Corno d’Africa - a causa della siccità. Per arrivare alle famiglie più difficili da raggiungere e quelle che hanno dovuto lasciare la propria casa in cerca di cibo e acqua, l’UNICEF sta impiegando i team mobili “find and treat”.

Quest’anno abbiamo curato più di 300 mila bambini per malnutrizione acuta grave e consegnato forniture idriche di emergenza, trasportate con i camion, a 500 mila persone solo negli ultimi 3 mesi.

Oltre alle forniture sanitarie urgenti, e a quelle per la nutrizione e l’acqua, l’UNICEF ha l’obiettivo di raggiungere 300 mila bambini con interventi di supporto psico-sociale e con sistemi di educazione formale o informale. Tra siccità, fuga dalla stessa e insicurezza, questi interventi aiutano i bambini a riprendersi dai traumi subiti, e a pensare a un possibile futuro.

Mi piacerebbe abituarmi a vivere in città, così i miei figli potranno andare a scuola e diventare ingegneri o muratori. Voglio che siano istruiti e imparino tutto, per uscire dalle difficoltà e poi insegnare a me cosa hanno imparato. Soprattutto, vorrei che Sabirin fosse bravissima negli studi e potesse aiutare i più poveri.

Khadijo

A causa della grave siccità, gli animali e le colture sono morti; non c’è un posto in cui tornare per Khadijo e i suoi figli

25/10/2022

News ed Aggiornamenti

Dona 9 euro al mese: 800 90 00 83

Chiama