L'indomani del naufragio. Diario di una nostra operatrice UNICEF, a Cutro
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Questa testimonianza è stata raccolta da uno dei nostri operatori UNICEF, a Crotone nei giorni seguenti il tragico naufragio avvenuto lo scorso 26 febbraio, al largo delle coste calabresi.
27 febbraio 2023
I ritmi sono ancora veloci ed è necessaria la collaborazione di tutte le organizzazioni umanitarie presenti. Sulla spiaggia di Cutro così come fuori dal CARA di Crotone si affollano le telecamere.
Mentre il numero dei sopravvissuti resta costante, il numero dei morti continua a salire.
Dalle testimonianze di chi stava sul barcone, la conferma che i dispersi sono ancora tanti. Tutti raccontano di almeno 180 persone a bordo, tra sopravvissuti e corpi recuperati mancano all’appello almeno altre 40 persone, tra cui - si racconta - molti bambini.
Steccato di Cutro, gli oggetti restituiti dal mare
Ormai le possibilità di soccorso sono minime, le autorità sono impegnate nella ricerca dei corpi.
I droni si incrociano nel cielo e le traiettorie seguono gli spostamenti delle correnti.
Nel luogo dell’incidente restano pezzi di legno, oggetti personali, zaini vuoti, la forza del mare ha cancellato cose e ricordi. Sulla battigia anche una piccola tutina rosa, pregna di sale e sabbia. Più in là, ancora le coperte termiche usate nella notte per coprire i corpi.
CARA di Crotone, l'arrivo dei sopravvissuti
I sopravvissuti sono trasferiti al CARA (Centro di accoglienza per richiedenti asilo) di Crotone, un hangar li ospita. Con il supporto delle Organizzazioni tutti coloro che hanno perso qualcuno saranno chiamati a riconoscere, tra le foto delle salme, i familiari con cui hanno iniziato il viaggio. Si cerca di non coinvolgere i minori ma succede, quando purtroppo non c’è un altro adulto che può farlo per loro.
Alcuni parenti delle vittime raggiungono l’Italia da altri Stati, principalmente Germania e Belgio, per riabbracciare i parenti o per i riconoscimenti. In questi casi la procedura è più difficile, perché spesso il ricordo dei familiari è sbiadito dal tempo, o le ultime foto in cui li hanno visti sono state scattate molti anni prima.
Il team UNICEF, presente nella Regione con una coordinatrice territoriale, insieme al team fisso dell’organizzazione partner Save the Children, è sul posto per incontrare i minorenni e le famiglie e supportare subito nell’individuazione dei nuclei. Dai colloqui individuali, emergono i tragitti, le storie di chi lasciava sperando in un futuro più facile, i racconti che nascono a volte da una semplice attività di disegno, pensata per scaricare le prime emozioni.
F. è partito con la famiglia, erano 7 in tutto. Rimangono lui e il cugino più piccolo. È poco più che un adulto ma si unisce all’attività di disegno, mostra il naufragio e la disposizione delle persone dentro la barca. Tutte le organizzazioni in questa fase sono impegnate nel supporto emotivo e primo supporto psicologico, i momenti di tranquillità si alternano costantemente a momenti di isolamento e silenzio, poi di profondo disagio, sono tutti ancora visibilmente provati.
Ospedale San Giovanni di Dio, l'unica famiglia rimasta insieme
28 febbraio 2023
L’attività di UNICEF e Save the Children continua negli ospedali, per verificare con l’ausilio del personale medico le condizioni di mamme e bambini e avere anche con loro un primo colloquio conoscitivo. In ospedale incontriamo l’unico nucleo che non ha subito perdite.
La mamma, in un racconto concitato, riporta di essere scappata dall’Afghanistan con il marito e i figli, attraversando l’Iran e la Turchia prima di arrivare in Italia. Entrambi i bambini non hanno più frequentato la scuola. Avevano deciso di raggiungere i parenti in Germania. La mamma ha salvato i suoi figli, ma da mamma racconta l’orrore di altri bambini che ha visto morire.
Tra i sopravvissuti in ospedale anche un ragazzino, nessuno ha chiesto di lui, un minore straniero non accompagnato si ipotizza. Nel primo colloquio emerge che è partito da solo. Gli operatori in visita tirano un respiro di sollievo, almeno lui non dovrà riconoscere tra le salme le persone con cui è partito.
Silenzio e lacrime al PalaMilone
Le salme sono tutte al PalaMilone, dove è stata allestita la camera ardente. I cancelli fuori sono pieni di fiori, ceri accesi, biglietti, tra cui quello di Gioia, che scrive in stampatello “Ciao bimbi, mi dispiace”.
Il palazzetto apre per un momento di preghiera, è la prima volta che i sopravvissuti possono piangere i propri familiari. Non tutte le bare hanno la targa con il nome, alcune - quelle dei corpi non identificati - riportano solo un codice che temporaneamente servirà a riconoscere la salma. Al centro ci sono cinque piccole bare bianche.
La sala si riempie in silenzio, poi i pianti. Inizia la preghiera, poi è consentito avvicinarsi. I pianti si fanno più forti, c’è chi non regge la commozione e sviene, c’è chi resta a distanza con uno sguardo fisso nel vuoto e gli occhi lucidi. Dai racconti dal campo, verrà fuori in alcuni casi il senso di colpa per essere sopravvissuti a un figlio, a un compagno o una compagna, a bambine e bambini più giovani.
La memoria riporta a Lampedusa, ottobre 2013. È successo di nuovo e succede troppo frequentemente, il numero dei morti e dispersi nel Mediterraneo da quella data a oggi ha superato quota 26 mila. L’attenzione si sposta sui corpi senza un nome, sui protocolli di prelievi del DNA, sul sistema di identificazione in caso qualcuno verrà mai a cercarli.
Se l’indomani di un naufragio desta sempre una forte attenzione mediatica, mentre le telecamere si spengono resta costante l’azione delle operatrici e degli operatori su campo.
E il CARA, in quanto struttura di prima accoglienza, resta un posto non adeguato a rispondere ai bisogni dei minori. L’UNICEF insieme a Save the Children continuerà a seguire i trasferimenti e a fare seguito sui casi di bambine/i e nuclei con vulnerabilità specifiche. Minori e famiglie sopravvissuti al naufragio, in particolare quanti hanno subito una perdita, hanno bisogno di supporto psicologico.
Vanno attenzionate anche le ragazze e le donne sole per cui il rischio di sfruttamento e violenza, inclusa quella di genere, resta sempre molto alto. Tutte e tutti hanno bisogno di informative, inizia un’attesa in cui nessuno ha chiaro cosa succede dopo. Molti di questi bambine e bambini devono recuperare mesi, a volte anni, di studio, e anche di gioco. Inizia il percorso per ritrovare una nuova normalità, per andare oltre, per conservare dentro le cicatrici del viaggio.
Il diritto alla vita, alla sopravvivenza e allo sviluppo
Art. 6, Convenzione sui Diritti dell'Infanzia: “Ogni bambino ha diritto alla vita, alla sopravvivenza e allo sviluppo”
La risposta all’emergenza in frontiera è portata avanti dall’UNICEF nell’ambito di “PROTECT”, il progetto finanziato Direzione generale della Migrazione e degli Affari interni (HOME) della Commissione Europea per rafforzare gli interventi di protezione a favore di oltre 20 mila bambine/i, adolescenti, giovani e donne rifugiati/e e migranti in Italia.