La lunga strada verso la salvezza: il viaggio di Azuz, 13 anni, dal conflitto in Sudan
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Ad oggi Azuz, 13 anni, non riesce ancora a capacitarsi di come il forte boato che un tempo sentiva in lontananza dal suo villaggio di Al Fasher, in Sudan, potesse trasformarsi in un bombardamento costante, tale da costringere la sua famiglia a fuggire di casa quattro mesi fa.
“Vivevamo felici, tutto andava bene” racconta Azuz.
Quando le esplosioni si sono intensificate, la sua famiglia è rimasta, sperando che i colpi cessassero presto. Invece le cose sono peggiorate. La scuola è stata distrutta, la casa era poco sicura e anche andare in strada a giocare era diventato pericoloso.
Nagla, madre di Azuz, ha vissuto ad Al Fasher per 14 anni. Vedere il quartiere trasformarsi in un campo di battaglia è qualcosa che non può dimenticare.
Abbiamo lasciato tutto, senza l’intenzione di tornare
Nagla, madre di Azuz
Come suo figlio, ha sperato che la violenza cessasse dopo pochi giorni. Ma non appena i combattimenti si sono allargati, la vita è diventata impossibile: il cibo scarseggiava, i mezzi di sostentamento sono scomparsi e la sicurezza era svanita.
“Abbiamo costruito un rifugio per 17 persone” ricorda Nagla. “Abbiamo scavato un tunnel, montato le scale e quando si verificava un attacco, scendevamo per nasconderci dai bombardamenti”.
Un giorno, quando la loro casa è stata colpita dalle bombe, Nagla ha capito che era tempo di andarsene.
“La nostra casa è stata distrutta. Otto colpi di mortaio soltanto sui bagni. Quel giorno, ho perso ogni speranza” racconta.
Quel momento ha segnato l’inizio di un lungo, incerto viaggio con i suoi sei bambini
Il viaggio verso Atbara, nel nord del Sudan, è durato più di un mese. Sono arrivati pelle ed ossa, esausti e traumatizzati.
“Ho camminato scalza per quattro giorni. A un certo punto, ho dovuto portare due dei miei figli sulla schiena” ricorda. “Alcuni giorni, sopravvivevamo mangiando foglie pestate e mescolate con sale ed acqua. Azuz era molto debole, sembrava uno scheletro” ha aggiunto, con le lacrime che le rigano il viso.
Un giorno, un bicchiere d’acqua è caduto a terra e si è rotto. Tutti i bambini si sono buttati per terra, pensando che fossero ripresi i bombardamenti.
Nagla racconta come la paura abbia segnato i suoi bambini
Prima della guerra, Nagla e suo marito celebravano ogni successo scolastico dei loro figli.
“Mio figlio era sempre il più bravo della classe. Ma guarda che cosa gli ha fatto la guerra” racconta.
Ora, nella scuola di Atbara, Azuz e i suoi fratelli possono tornare a studiare grazie al Programma di Apprendimento Accelerato dell’UNICEF, che aiuta i bambini che hanno perso anni scolastici a recuperare. Con lo zaino dell’UNICEF pieno di libri, matite, colori e altro materiale scolastico, Azuz sente finalmente di poter sperare nel futuro.
“I miei bambini adesso sanno leggere e scrivere in Arabo e in Inglese” racconta orgogliosamente Nagla.
A scuola, i bambini imparano non solo a studiare, ma possono giocare, farsi degli amici e ricevere supporto psicosociale dagli operatori. Attraverso le sessioni di gruppo e quelle individuali, Azuz sta lentamente guarendo dal trauma della guerra.
Dato che Al Fasher è ancora pericolosa, Azuz e la sua famiglia continuano a vivere da sfollati, ma la loro speranza perdura.
Per approfondire
Poco dopo la fuga di Azuz e della sua famiglia, la situazione ad Al Fasher, nella regione del Darfur è notevolmente peggiorata.
Sebbene la portata complessiva dell'impatto rimanga poco chiara a causa dell'interruzione generalizzata delle comunicazioni, si stima che i 130.000 bambini presenti ad Al Fasher siano ad alto rischio di gravi violazioni dei diritti umani, con segnalazioni di rapimenti, uccisioni, mutilazioni e violenze sessuali. La popolazione vive sotto assedio da più di 500 giorni, intrappolata tra bombardamenti senza sosta, violenti combattimenti e grave mancanza di cibo, acqua sicura e medicine.
Per saperne di più, leggi il comunicato In Sudan la più grave crisi umanitaria al mondo