Sara, rapita e costretta a combattere. Ora vuole una nuova vita

8 minuti di lettura

12/02/2021

“Quando ne sono uscita, le persone si rivolgevano a me e mi indicavano dicendo lei è una dei bush kids" - così vengono chiamati i bambini rapiti e costretti a combattere - "Avevano paura di me, ma io non avrei mai fatto del male a nessuno”

Lo sguardo di Sara, 15 anni, è rivolto verso il basso mentre rivive le prime settimane della fuga dal gruppo armato che l'ha rapita e poi usata, abusata e sfruttata per un anno.
Siamo sedute su delle sedie di plastica blu, sotto un grande albero di mango, punteggiato di frutta verde che presto diventerà gialla e rossa con una dolce polpa succosa all’interno. Ma la stagione dei mango non è tra i pensieri di Sara, che sta ancora tentando di scrollarsi di dosso l’esperienza del rapimento.

“Se non avessi vissuto questa esperienza, la mia mente sarebbe libera. Invece questo ricordo resterà per sempre dentro di me,” dice in modo calmo.  

È taciturna. Durante l’intervista è a disagio nel mantenere a lungo il contatto visivo, guarda spesso in basso o in un punto della sua mano, che continua a grattare. Le sue risposte sono molto brevi all’inizio, ma diventano sempre più articolate non appena si sente più a suo agio.

Siamo stati fermati da tre uomini, senza uniformi, che ci hanno detto di seguirli. Ci hanno legato le mani dietro la schiena e messo in fila. C'erano altri 6 bambini

Sara, aveva 13 anni quando è stata rapita

“Una mattina, stavo andando al mercato con mio nipote, per vendere delle arance" - continua -  "Siamo stati fermati da tre uomini, senza uniformi, che ci hanno detto di seguirli nella boscaglia. Non sapevo chi fossero. Avevo 13 anni e mio nipote 14".

"Ci hanno legato le mani dietro la schiena e messo in fila. C’erano già sei bambini: abbiamo camminato così, legati, per tutto il giorno. Eravamo stati catturati di mattina e solo nel tardo pomeriggio siamo arrivati nella boscaglia. Ci hanno legati ad un albero, abbiamo dovuto dormire in quel modo. Non avevo idea di dove ci trovassimo o chi fossero quegli uomini”.

"È stato l’inizio di un lungo anno da incubo"

Dal 2013 ad oggi

Bambini rapiti e addestrati a combattere in Sud Sudan

6.290bambini

rapiti e costretti a combattere per le milizie armate

3.785bambini

rilasciati dalle milizie e reintegrati nelle loro comunità

75%

bambini NON registrati alla nascita

Sono stata addestrata a usare il fucile

“La vita era brutta. Non avevamo cibo. Ce lo procuravamo solo saccheggiando. Ero parte di quel mondo. Non ci trattavano bene. Al campo ero molto spaventata, perché non conoscevo nessuno".

“Sono stata addestrata ad usare il fucile, il “panga” (parola locale per machete) e le mine. Dove mirare sul corpo dell’avversario per ferirlo di più. Ero spesso in battaglia; era quello che mi avevano addestrato a fare. Ne ero felice, almeno potevo mettere in pratica ciò a cui ero addestrata. Mi piaceva vincere. Non avevo paura perché avevo imparato, sapevo come combattere”.

“La parte peggiore è stata quando hanno mandato noi, i bambini, davanti e gli adulti dietro. Saremmo stati uccisi per primi".

Pensi che sia un'esperienza diversa per una ragazza, rispetto ad un ragazzo? - Le chiedo-

“Non molto. Davano ai ragazzi gli incarichi più pesanti mentre le ragazze dovevano passare più tempo a cucinare e pulire, ma ci trattavano allo stesso modo. Oltre a combattere, dovevo cucinare, trovare la legna e pulire”.

La fuga insieme ad altri 8 bambini

Dopo un anno dal rapimento Sara è riuscita a fuggire.

“Sono scappata con altri 8 bambini, tra cui mio nipote, in piena notte, quando tutti erano addormentati. Non sapevamo dove andare così semplicemente abbiamo iniziato a correre sperando che qualcuno ci trovasse e ci riconoscesse. Quando la mattina siamo arrivati al cimitero, abbiamo chiesto informazioni e trovato la strada verso casa”.

Quando sono arrivata a casa, i miei nonni mi sono corsi incontro e mi hanno abbracciato. È stato un momento felice. Hanno capito che non avevo mangiato, così ho finito tutto il cibo che avevano preparato, ero affamata, loro non hanno potuto mangiare quel giorno.”

Poco dopo la fuga di Sara e degli altri, si è sparsa la voce che quelle persone stavano cercando otto bambini. 

Sapevo che stavano cercando noi. Non potevo restare a casa. Sono tornata nella boscaglia, uscendo solo durante la notte per mangiare, così non avrebbero potuto trovarmi”

Bambini soldato in attesa di essere rilasciati dai gruppi armati

Inizia una nuova vita

Nel febbraio del 2019, Sara è stata formalmente rilasciata dal gruppo armato: non deve più avere paura. È entrata in un programma di reinserimento supportato dall’UNICEF, dove ha ricevuto un aiuto pratico ma anche il supporto di un'assistente sociale che l'aiuterà nella transizione alla vita civile per i prossimi tre anni, perché non ci sono scorciatoie per tornare all'infanzia.

“Ho ricevuto cose indispensabili come vestiti, scarpe, sapone ecc. dall'UNICEF e da una ONG. Ho da mangiare e qualcuno viene a trovarmi regolarmente, per verificare le mie condizioni e per parlare"  

Le difficoltà però non sono finite. La gente sa che è stata una dei “bush kids” ed hanno paura di lei.

“Una volta mi sono arrabbiata molto quando mi hanno insultato. Dopo quell’episodio hanno smesso di prendermi di mira. Ero parecchio arrabbiata in quel periodo, perdevo la pazienza facilmente. Ero tesa. La mia assistente sociale mi ha aiutato ad affrontare tutto questo.”

L’assistente sociale dice che Sara ha fatto molta strada da quando è tornata a casa ma resta ancora molto da fare prima che riuscirà a scrollarsi di dosso quell’esperienza. Parte di questo processo sarà l’istruzione e la capacità di programmare il suo futuro.

"Sto andando a scuola, sono in P5 (scuola primaria). Quando sarò grande voglio lavorare per una ONG che si occupa di cibo e costruire una bella casa per i miei nonni"

Storia raccolta da Helene Sandbu Ryeng

Per approfondire

Il sostegno psicosociale è la spina dorsale del programma di reinserimento sostenuto dall'UNICEF per i bambini arruolati nelle milizie e nei gruppi armati. Ad ogni bambino viene assegnato un assistente sociale dedicato per la durata di tre anni, per aiutarlo ad affrontare il trauma del passato e ad essere reinserito nella vita civile. 

Dal 2013 ad oggi la "South Sudan Country Task Force on Monitoring and Reporting" stima che oltre 6.290 bambini siano stati rapiti e costretti a combattere per le milizie armate. Il numero effettivo è probabilmente più alto: è legato alla situazione politica, in quanto ciò influenza il "bisogno" di bambini tra le fila dei gruppi armati, ma anche alla povertà, poiché l'adesione a un gruppo armato può sembrare l'unica opzione per alcuni ragazzi.

    Il programma di reinserimento sostenuto dall'UNICEF per i bambini reclutati dalle forze armate e dalle milizie è possibile grazie alle generose donazioni dell'UE, ECHO, USAID, Repubblica Federale di Germania attraverso la KfW Development Bank e il Fondo umanitario globale.

    L'UNICEF chiede a tutte le milizie e ai gruppi armati del Sud Sudan di fermare immediatamente il reclutamento e gli abusi sui bambini.

    12/02/2021

    News ed Aggiornamenti

    Dona 9 euro al mese: 800 90 00 83

    Chiama