Separati dal coronavirus, uniti dall’appartenenza a una comunità: la famiglia di Josy

7 minuti di lettura

17/03/2021

Questa storia si svolge in una delle tante occupazioni che punteggiano la periferia Est di Roma, dove sono massime la concentrazione di popolazione e la penuria di alloggi.

In un edificio occupato da circa cinquecento persone, provenienti da ogni parte del mondo – Africa, Medio Oriente, Europa orientale, America Latina, il team sanitario mobile di INTERSOS, sostenuto dall’UNICEF, opera dal 2017 con attività di supporto psico-sociale e, da marzo 2020, con un’azione di prevenzione del COVID-19.

Il lavoro di routine consiste nell’aiutare i residenti ad accrescere le proprie competenze in ambito sociale e sanitario, identificando i casi di maggiore vulnerabilità e indirizzandoli ai servizi sanitari del territorio. Un intervento che vuole anche prevenire e rispondere alla violenza di genere: a seconda dei casi, la soluzione che offriamo va dallo sportello psicologico alla rete anti-tratta, fino ai Centri antiviolenza veri e propri.

La pandemia rende necessario un altro tipo di supporto

Con l’epidemia di COVID è diventato indispensabile aggiungere al presidio sanitario consueto un’azione specifica di prevenzione dei contagi, che in una situazione come questa potrebbe avere un effetto devastante.

Per contenere il rischio, oltre alle visite mediche di controllo distribuiamo kit igienico-sanitari e forniamo supporto psico-sociale ai nuclei familiari, con particolare attenzione per ragazze e donne, sole o con figli.

Non solo. Abbiamo selezionato e formato all’interno della comunità dei “promotori di salute”, persone che svolgono volontariamente un ruolo di coordinamento con le autorità sanitarie per la gestione dei casi di sospetto COVID-19 e una preziosa azione di sensibilizzazione e informazione tra le famiglie presenti nello stabile.

Josy è preoccupata: come evitare il contagio?

Quelli dello scorso autunno sono stati mesi difficili: dopo avere superato indenni la prima ondata dell’epidemia, si sono iniziati a registrare i primi casi di COVID tra gli ospiti della struttura, e un misto di paura, ansia e incertezza ha iniziato a aleggiare tra gli occupanti.

“Quando è arrivato il COVID nell’occupazione ho pensato: è finita, si diffonderà in tutto l’edificio. Qui i bagni sono in comune, e solo su questo piano vivono sei famiglie. Non pensavo fosse possibile evitare i contagi.”  

A parlare è Josehaly, per tutti ormai semplicemente Josy che vive qui insieme al marito e ai tre figli Patricia, Daniel e Alexis. 

“Invece abbiamo avuto pochissimi casi e questo lo dobbiamo soprattutto al supporto ricevuto in questo percorso.”

Ho pensato: è finita, si diffonderà in tutto l’edificio. I bagni sono in comune, e solo su questo piano vivono sei famiglie. Non pensavo fosse possibile evitare i contagi.

Josy, che vive in una delle strutture supportate dal Team 

La forza della comunità in un momento di grande fragilità

La comunità non si è fatta trovare impreparata quando è giunta la seconda ondata dell’epidemia. Grazie alle attività portate avanti da INTERSOS con il supporto di UNICEF, sulle misure di prevenzione e di gestione dei casi positivi svolte nei mesi precedenti, le persone sapevano come comportarsi e si sono organizzate molto velocemente. Sono stati stabiliti turni per la pulizia e la disinfezione delle stanze, ed è stata persino creata all’interno dell’edificio un’ala dedicata all’isolamento delle persone positive. 

“Abbiamo organizzato dei moduli abitativi ideati per tenere al sicuro la comunità, ma anche per non lasciare che la solitudine prendesse il sopravvento tra le persone costrette all’isolamento” ci spiegano i promotori di salute.

"L’intera comunità ha assistito le persone affette dal virus cucinando, lavando i panni, offrendo tutto l’appoggio possibile ai bambini." 

Ci salutavamo attraverso il vetro della finestra. Era tutto molto triste

Josy sulla quarantena della figlia Patricia, positiva al COVID-19

Patricia, la figlia maggiore di Josy, risulta positiva al COVID-19

Patricia, la figlia più grande di Josy, è stata anche la prima della famiglia a risultare positiva al COVID e a essere trasferita nell’ala per l’isolamento. Ben presto l’hanno seguita quasi tutti gli altri membri della famiglia, tranne il papà che al momento del contagio si trovava fuori Roma per un lavoro e che ha vissuto per oltre un mese la separazione dai suoi cari, senza poter neppure tornare a casa.

Ora, mentre ripercorriamo quei mesi, Josy è tranquilla, ma si intuisce ancora quanto sia stato duro quel periodo: la preoccupazione per una malattia imprevedibile, per il marito lontano, per i suoi due figli più piccoli, per la sua vita messa in pausa per un tempo indefinito. 

“Vi chiamavo cento volte al giorno” ricorda ora con un sorriso. “Il fatto è che era difficile per me non sapere quando sarei potuta uscire, perché ogni giorno in più di isolamento era un giorno senza poter lavorare.”

La famiglia di Josy, riunita dopo il periodo di quarantena

Con l'aiuto del team mobile i contagi sono stati contenuti

La convivenza comunitaria durante una pandemia può rappresentare un grande rischio per le persone. Se però si interviene sui punti di forza della comunità, come la conoscenza reciproca, il mutuo aiuto e la solidarietà che questa modalità abitativa porta con sé, e se si lavora sulla diffusione di informazioni corrette, è possibile creare una vera e propria rete di salvataggio.

È questo il risultato del lavoro congiunto di UNICEF e INTERSOS negli ultimi mesi nelle occupazioni, ottenuto lavorando con le comunità, preparandole, informandole e responsabilizzandole, garantendo però sempre la nostra presenza costante e facendo da ponte con le autorità sanitarie competenti. I risultati sono stati superiori alle aspettative. 

I contagi sono stati contenuti e le persone ne sono uscite più forti, più consapevoli del valore della loro comunità. Josy può ricominciare a fare progetti: il suo sogno è avviare un’attività di catering, e poi chissà…

Per approfondire

Da giugno 2020, l’intervento è  finanziato dal programma “Rafforzamento della Salute per i minorenni migranti e rifugiati” dell’UNICEF e della Direzione Generale Salute dell’Unione Europea, volto a garantire assistenza sanitaria di qualità e informazioni adeguate a minori migranti e rifugiati e alle loro famiglie.

Per maggiori informazioni, visita la pagina Salute e Benessere psico-fisico 

Documenti disponibili

Rafforzamento dello stato di salute dei minori migrantipdf / 2.52 Mb

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17/03/2021

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