Sud Sudan, diario di viaggio / 4 - Fare scuola con (quasi) niente
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Giorno 4 - Kuajok
Il caldo è asfissiante. Comincia così la nostra quarta giornata di missione: andiamo in visita presso alcuni Centri per bambini supportati dall’UNICEF.
Qui, oltre alle strutture vere e proprie, l'UNICEF finanzia anche la formazione del personale e la fornitura di libri e quaderni per i bambini. Come nei due giorni precedenti, siamo in uno dei "blocchi", gli insediamenti informali dei retorunees sorti intorno alla città di Kuajok.
Arrivati al primo Centro, ci troviamo nel bel mezzo di una partita di calcio. Chiediamo un time out per attraversare il campo e ci dirigiamo verso la struttura in legno costruita appositamente per ospitare i bambini delle famiglie che vivono lì vicino.
Gli operatori hanno studiato inglese e arabo. Essendo persone del posto conoscono anche i vari dialetti parlati dai bambini presenti, in modo da poter interagire al meglio con loro e insegnare le lingue nella maniera migliore possibile.
I bambini quando sono insieme sorridono tutti, giocano tra di loro e i più grandi si prendono cura dei più piccoli. Una bambina di 9 anni, Achon, che ha un fratello e quattro sorelle, porta in braccio la più piccola che avrà circa 3 anni. «Io vengo qui perché è l’unico posto in cui posso imparare una lingua, altrimenti a casa dovrei pensare ai miei fratelli o andare a prendere l’acqua. Qui posso divertirmi.» Capisco così l’importanza di un luogo come questo.
Achon, 9 anni, in uno dei Centri ricreativi intorno a Kuajok - ©UNICEF Italia/2012/Gianluca De Palma
Ci dirigiamo verso un altro spazio dedicato ai bambini. Qui ci accolgono con una danza dinka. Il responsabile ci spiega che il suo centro, come altri sostenuti dall'UNICEF, ha una suddivisione dei bambini in 8 “club”, classi di minimo 20 bambini, in cui si insegna loro a disegnare, a giocare, ballare, le lingue. Un’interconnessione culturale, perché in uno stato neonato come il Sud Sudan c’è bisogno di cooperazione ed unione. Questo mi sembra uno dei modi migliori per generare cooperazione e ancor più solidarietà.
Nel pomeriggio ci rechiamo in visita presso alcune scuole. Purtroppo sono vuote, i bambini in Sud Sudan vanno a scuola da aprile a dicembre.
Quando la macchina parcheggia, mi guardo attorno, non c’è nulla. Siamo di nuovo in uno dei blocchi attorno a Kuajok, c’è un tendone enorme e domando: quella è la scuola? Si. La prima cosa cui penso è il tempo, le condizioni metereologiche. Con questo caldo i bambini rischiano di squagliarsi lì dentro, con la pioggia invece di innaffiarsi.
Clement Deng Kung è il responsabile della scuola. «A inizio anno erano 900 i bambini presenti, purtroppo non possiamo controllare che ritornino. Abbiamo solo riscontrato che a oggi sono 600 i bambini e le bambine che frequentano questa struttura. Abbiamo sette classi e 25 insegnanti.»
La danza di benvenuto degli alunni di etnia Dinka - ©UNICEF Italia/2012/Paolo Siccardi
I problemi sono tanti: innanzitutto la difficoltà per i bambini lontani di raggiungere la scuola. In secondo luogo ci sono pochi strumenti, quelli presenti sono tutti arrivati grazie all’UNICEF.
Le lavagne passano a rotazione di aula in aula, le classi fanno lezione a turno nella tenda o fuori sul terreno, quando piove si accalcano tutti dentro e ci entrano a stento. Mancano sedie e banchi. Per fortuna ci sono i libri e un personale che sa insegnare loro le lingue e messaggi di base per una corretta igiene e pulizia.
Nel bel mezzo del nostro colloquio cominciano ad affacciarsi i rappresentati delle famiglie, la tenda si riempie, siamo 40, il caldo diventa ancora più soffocante, ma ascoltare queste persone che parlano dei propri problemi mi aiuta a comprendere ancora di più quanto sia importante l’azione dell’UNICEF.
Rifletto subito sullo stato di emergenza del Sud Sudan. Qui è emergenza per qualsiasi aspetto della vita:per il cibo, per l'acqua, per l'igiene... Adesso, l’UNICEF e le altre organizzazioni partner stanno insegnando come costruire una latrina o il corretto uso dell’acqua, pratiche igieniche di base.