Cronache di frontiera. Lampedusa, i due volti dell’isola che accoglie

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13/04/2023

Con l’inizio della stagione calda, e le condizioni climatiche più favorevoli, aumentano di nuovo gli sbarchi e i casi di naufragio nel Mediterraneo.

L’isola non nasconde i segni dei flussi che la attraversano. Il clima sereno di chi sbarca in vacanza da traghetti e navi da crociera convive con i visi più provati e stanchi di chi scende da piccole imbarcazioni provenienti dal Nord Africa e, solo poco più di un anno fa, con chi saliva invece nella nave quarantena, la GNV ancorata a poche miglia dalla costa. 

Accanto ai traghetti che collegano Lampedusa alle altre destinazioni turistiche, le navi mercantili e i pescherecci che hanno portato i migranti, appena separati da un cancello, perfettamente riconoscibili dalle scritte in arabo e dagli indumenti abbandonati sul pontile. Sono lì, sullo stesso molo, in quello che ormai è diventato un nuovo cimitero di barche. 

Tra le storie che incrociamo quella di Ester Ada. Di lei sappiamo che è nata in Nigeria, nel 1991. Ha lasciato la sua terra per realizzare i suoi sogni, arrivata nel nostro Paese ad aprile del 2009, appena diciottenne. Riposa lì, nel cimitero di Lampedusa, in quello spazio dedicato a chi non ce l’ha fatta, quei numeri mai identificati. “In questo luogo riposano – si legge nell’epigrafe – musulmani e cattolici, vecchi e giovani, neri e bianchi. Tutti migranti morti in mare in cerca della libertà”.  

L’accoglienza all’arrivo

Molo Favaloro. È una scena che si ripete spesso, soprattutto a partire dalla primavera e per tutto il periodo estivo. Arrivano le imbarcazioni della guardia costiera con, a bordo, le ultime persone soccorse in mare. Sono donne, uomini e bambini. Poco più di un anno fa, in una delle imbarcazioni provenienti dalla Tunisia anche una pecora, che aveva monopolizzato in poco tempo l’interesse e la curiosità dei media. Iniziano le operazioni di sbarco.

Dal periodo della pandemia il primo cordone sanitario era dedicato allo screening anticovid, poi a seguire gli altri accertamenti. Un braccialetto, assegnato subito dopo, identifica già situazioni specifiche da attenzionare: il braccialetto arancione indica ad esempio la scabbia, un braccialetto viola una donna incinta, fungendo da primo triage. L'operatore legale e  il mediatore culturale del team Save the Children, partner dell’UNICEF nell’isola, sono già sul posto. Quel braccialetto aiuta spesso anche loro a individuare vulnerabilità specifiche. Il loro lavoro inizia lì, con una prima osservazione generale per l’individuazione di minori.
 

Intanto continuano le operazioni con l’assistenza di base: viene fornita acqua, qualcosa da mangiare, coperte termiche. È lì che gli operatori possono avere un primo contatto con chi è appena sbarcato. “La presenza allo sbarco ci permette di individuare già bambini e adolescenti, ad avvicinarci. Spesso sono loro stessi che ci vengono a cercare quando ci riconoscono in hotspot. È importante per creare una prima relazione di fiducia” racconta un'operatrice. “Spesso agli sbarchi a emergere è la stanchezza, la paura. Cerchiamo di fornire indicazioni partendo da informazioni di base, a partire da dove si trovano a dove li porteranno a breve, alle procedure che seguiranno. Molte delle persone che si trovano lì hanno perso i loro cari. A volte la cosa di cui hanno bisogno, prima ancora delle informative, è semplicemente una parola di conforto”. 

Porta di Lampedusa, porta d'Europa. Un monumento alla memoria dei migranti deceduti in mare.

Il coordinamento con il sistema di protezione

Contrada Imbriacola, Hotspot. È qui che continua il lavoro degli operatori, in coordinamento con l’Ufficio Immigrazione che fornisce le prime informazioni su quanti minori sono presenti, quanti in trasferimento. Continua l’identificazione dei minori e il supporto alle autorità per la costruzione dei rapporti possibili di parentela sia tra persone giunte insieme, che con altri familiari già arrivati in Europa precedentemente. Non mancano le scene di chi cerca un familiare perso di vista nel viaggio. Come quel ragazzo tunisino che prima di partire, gli ha chiesto di dire al fratello – se mai dovesse incontrarlo – che anche lui è passato da lì. 

Gli operatori si dirigono nell’area che ospita i minori, dove nei giorni precedenti sono arrivate anche delle ragazze a cui hanno iniziato a dare informazioni circa le procedure legali per la richiesta d’asilo. Poi tornano, a volte fermati da chi vuole incontrarli per un secondo colloquio, per avere informazioni nella propria lingua e/o semplicemente perché riconosce un supporto in quei volti che ormai sono di casa nella struttura. In fila, per parlare con loro, anche una donna. È giovane e stanca, ha un braccialetto viola. È incinta, riferisce di avere dolori alla pancia, di essere preoccupata. È la prima gravidanza, il marito l’ha convinta a partire, così da dare un futuro migliore al figlio che aspettano. Un'operatrice la accompagna al poliambulatorio mentre un consulente legale continua il colloquio con un gruppo di giovani, anche loro dalla Tunisia. 

Nonostante il breve periodo di permanenza, ogni azione, lì dentro, ha un impatto. Anche una semplice informativa. “L’importante è essere trasparenti e non creare false aspettative” dice il consulente legale. Tra le sfide più grandi resta poi quella del ricongiungimento familiare.  

“Scene normali in hotspot”

Tra le storie che ricordiamo col sorriso, quella di una bambina ivoriana, accompagnata da un adulto a cui la madre l’aveva affidata, sperando potesse crescere in un luogo sicuro. In collaborazione con l’ufficio immigrazione riescono a rintracciare la mamma attraverso i canali social. Così, la donna ha potuto riabbracciare presto, in Italia, sua figlia. Oppure il caso di due fratelli, arrivati a distanza di 10 giorni, che si sono rincontrati in hotspot. “Scene normali in hotspot” dice un operatore.

Ricordiamo anche la storia di un ragazzo tunisino di 14 anni. Era partito d’intesa con la famiglia col sogno di imparare presto l’italiano e trovare un lavoro. Così gli lascia un frasario, una grammatica di base. L’ultimo giorno in hotspot il ragazzo, sorridendo, ci saluta così “Grazie. Ci rivediamo presto”. 

Il programma congiunto

Da dicembre del 2020 l’UNICEF - in collaborazione con il partner Save the Children Italia - ha avviato una missione congiunta a Lampedusa e Ventimiglia, tra le principali aree di arrivo e transito in Italia.  

Il team opera nelle due frontiere, a supporto delle autorità italiane, per fornire a famiglie, bambine/i, adolescenti e giovani donne, informazioni sui diritti e sui servizi di disponibili, attraverso servizi di protezione e ancora con interventi di prevenzione e supporto a sopravvissute e sopravvissuti a violenza di genere. 

Con l’incremento degli arrivi registratosi a inizio anno, l’UNICEF ha già potenziato l’intervento d’emergenza in frontiera per tutto il 2023 attraverso “PROTECT”, il progetto finanziato dalla Commissione europea attraverso il Fondo Asilo, Migrazione e Integrazione (FAMI), finalizzato a rafforzare gli interventi di protezione e inclusione a favore di oltre 20 mila bambine/i, adolescenti, giovani e donne rifugiati/e e migranti in Italia. 

13/04/2023

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