Kledi in visita ai progetti dell'UNICEF. Diario di viaggio dal Bangladesh.
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Questo diario, a cura di Susanna Bucci (direttore Comunicazione dell'UNICEF Italia), racconta il viaggio del testimonial dell'UNICEF Italia Kledi Kadiu in Bangladesh per visitare i progetti per la protezione dei bambini da sfruttamento e discriminazione.
Non si fa fatica a credere alle statistiche una volta sbarcati a Dacca, caotica fino all’inverosimile capitale del Bangladesh. Ore bloccate in un traffico senza alcuna logica se non quella del continuo suonare il clacson o scampanellare di risciò; autisti pazienti e consci di una legge del più forte, in senso automobilistico, che fa sì che tamponamenti che sembrano inevitabili vengano schivati con maestria e freddezza.
Vista dall’alto, col cielo bigio per il caldo umido che sfianca questa metropoli, è un inferno di lamiere. È questo infatti il paese con la più alta densità di popolazione al mondo: 145 milioni di abitanti, 65 milioni dei quali bambini, che vivono su un territorio grande quasi quanto il Nord Italia.
Il senso di oppressione di quanta gente viva in una superficie così ridotta lo cogli ovunque, lungo le strade che attraversano il paese dove ogni centimetro viene sfruttato per far asciugare il riso, nelle aule di fortuna dove i bambini fanno scuola, nei mercati dove i banchi di frutta si affastellano a quelli di oggetti riciclati, nei villaggi inondati dai cicloni.
C’è una Dacca nuova e una Dacca vecchia, la più disastrata anche se tra le rovine cogli barlumi della bellezza di palazzi in stile coloniale ormai corrosi dal tempo; ci si arriva dopo ore nel groviglio di vicoli e stradine dove il caldo scioglie le energie di noialtri, appena arrivati per una missione dell’UNICEF Italia con il nostro testimonial Kledi Kadiu.
Abbiamo organizzato il primo viaggio sul campo di Kledi che da quasi un anno promuove la nostra campagna contro la discriminazione dei bambini stranieri nel nostro paese “Io come tu - Mai nemici per la pelle". Un impegno per il quale non ha trascurato ogni occasione per promuovere il diritto all’uguaglianza per tutti i bambini che vivono in Italia.
Kledi, un ballerino con una storia particolare
Kledi ha alle spalle una storia professionale e umana disconosciuta perché la notorietà che gli ha dato la televisione può indurre a facili cliché.
Kledi si forma come ballerino classico a Tirana negli anni in cui l’Albania era sotto la morsa di ferro del regime di Enver Hoxha prima, e poi di Ramiz Alia.
È un artista promettente ma anche un giovane che guarda il mondo al di là dell’Adriatico. È uno dei primi albanesi ad approdare a Bari all’inizio degli anni '90, su un'imbarcazione arrugginita e carica fino all’inverosimile.
Poche ore di traversata a fronte di 5 giorni nello stadio della Vittoria del capoluogo pugliese assieme ad altri 20.000 connazionali, ai quali il cibo veniva lanciato nel recinto dove erano confinati. Il caldo era lenito con spruzzi di acqua sulla massa accalcata. Non è una bella pagina della storia dell’accoglienza del nostro paese, ma tant’è.
Kledi la racconta senza alcuna enfasi né retorica; anzi, ironizza sull’ossessione dei nostri media che a 20 anni dalle “prime invasioni” degli stranieri sulle nostre coste ripercorrono la sua storia insistendo sempre sullo stesso particolare: dove eri sulla barca, cosa facevi, ti sei buttato in mare anche tu una volta in rada? Rilevando l’incapacità di andare oltre il dettaglio scenografico a detrimento del dramma individuale e collettivo di chi, allora come adesso, decide di lasciare il suo paese spinto da motivazioni diverse, spesso deluse dai paesi di accoglienza.
Visitiamo il Bangladesh mentre sui giornali italiani vengono riportati titoli sull’emergenza Lampedusa; per Kledi l’avventura barese si conclude con il rimpatrio forzato su un’altra barca.
In Italia non è giunto da clandestino ma da ballerino, scelto da un impresario teatrale di Mantova. Ma la sua provenienza – gli albanesi avevano all’epoca il triste primato di essere gli immigrati più discriminati e mal visti dai nostri connazionali – ha condizionato i suoi primi anni di vita italiana. Ha vissuto sulla sua pelle il significato della discriminazione, il che ne fa un uomo speciale anche adesso che viene riconosciuto, fotografato e festeggiato da ammiratrici e ammiratori.