Lo strano mestiere di salvare vite in mare: una missione nel Mediterraneo con la Guardia Costiera
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Il 31 dicembre 2016 ha preso il via la prima missione di UNICEF e INTERSOS sulle navi della Guardia Costiera impegnate nel salvataggio dei migranti e rifugiati nel mare Mediterraneo, nel quadro del recente accordo stipulato tra UNICEF e Guardia Costiera. INTERSOS è partner dell'UNICEF sia nelle missioni a bordo delle navi che in diverse altre attività del programma "One UNICEF Response" in Italia.
Testo e immagini di Enrico Noviello.
Testo e immagini di Enrico Noviello.
15 gennaio 2017 - «Dio e voi avete salvato le nostre vite. Per noi comincia una nuova vita, Dio vi benedica!»
È mattina e sul ponte della nave "Gregoretti" della Guardia Costiera italiana il sole finalmente scalda i corpi e le parole di 130 esseri umani, e anche le onde del mare sembrano diventare più docili.
Ieri era tempesta, ma i trafficanti dei gommoni li hanno messi in mare lo stesso. «Con il bastone, ci hanno picchiato perché non volevamo salire, avevamo paura. Guarda tu stesso» e mostra il segno sulla schiena, sotto la coperta della Guardia Costiera.
Dopo diverse ore di navigazione abbiamo avvistato il gommone che ci era stato segnalato in pericolo da un aereo in volo: una specie di gommone giocattolo, stipato all'inverosimile, con l’acqua che ormai arrivava alle ginocchia. Storie e immagini che tutti abbiamo già visto in tv.
E poi salgono: il primo, completamente bagnato, barcolla. È caduto in mare, e come altri è stato ripescato appena prima che affogasse.
Per secondo sale un ragazzino che avrà 16 anni, con una bella maglietta celeste. Piange a dirotto, non per paura ma per avercela fatta, per essere vivo sul ponte di una nave che non affonderà.
Al terzo, un uomo più grande, la dottoressa mette il braccialetto bianco della scabbia. Altri ragazzi, altri uomini. Alcuni baciano il ponte della nave, altri si siedono e guardano il vuoto.
Un ragazzone portato a braccia non si regge in piedi: bava alla bocca, crisi di ipotermia, subito iniezione di adrenalina. Sale un ragazzo marocchino, è completamente zuppo ma non ha freddo e non dice una parola. I marinai ci diranno poi che lui ne ha tirati su diversi, dall'acqua.
Il salvataggio è stato così al limite, che i marinai della Guardia Costiera questa volta non sono riusciti a imbarcare per primi donne e bambini, e così le 6 donne e i 3 bambini piccoli salgono per ultimi.
I bambini e le loro mamme si siedono vicino alla scala, nella parte più riparata del ponte. Le altre donne salgono affaticate, eppure salde. Solo più tardi sapremo che due di loro sono incinte. Cioè, sono state violentate in Libia.
Fanno la loro comparsa vestiti asciutti di fortuna, coperte, acqua calda per levarsi la sete e per scongelarsi dentro. E una fila interminabile per andare nell'unico bagno chimico sul ponte.
Appena più tardi ci sarà il pasto caldo. Oggi i tre cuochi di bordo ne devono fare “solo” 130, a volte capita che ne debbano preparare oltre 500. Alcuni dei naufraghi non toccano cibo da due giorni.
Prima di dormire facciamo il giro, per riconoscere e appuntarci chi non ha ancora 18 anni, e da dove vengono.
«Dalla Libia» risponde un ragazzino della Costa d’Avorio.
L’educatrice gli sorride: «Domani, al porto, rimani con gli altri ragazzi minorenni. Andrete in un centro speciale per i ragazzi».
L’educatrice gli sorride: «Domani, al porto, rimani con gli altri ragazzi minorenni. Andrete in un centro speciale per i ragazzi».
«Ma dove arriviamo domani?» chiede lui.
«In Italia, a Catania».
«Ah, in Italia». E sorride.
«Ah, in Italia». E sorride.
Mentre passiamo l’educatrice ha una parola per tutti, anche per gli adulti.
Perché diciamo adulti, ma sono quasi tutti ragazzi tra 20 e 25 anni. A questo dice una parola dolce, all'altro sistema il collo della camicia o aggiusta la coperta, a un altro ancora dedica una parola scherzosa.
C’è un unico cinquantenne a bordo, viene dalla Guinea. Ha i capelli brizzolati, e l’educatrice chiede anche a lui se è un bambino. Lui sorride, tutti intorno sorridono con tenerezza.
Ci mettiamo in circolo. Nel giro, tutti vogliono dire qualcosa: io vengo dal Mali, io dalla Nigeria, io sto bene.. e il team ascolta, si ferma, sorride.
«Era tanto tempo che non trovavamo l’umanità» dice un giovane alla mediatrice culturale di UNICEF/INTERSOS.
«Era tanto tempo che non trovavamo l’umanità» dice un giovane alla mediatrice culturale di UNICEF/INTERSOS.
È mattina, e sul ponte della nave Gregoretti della Guardia Costiera italiana il sole finalmente scalda i corpi e le parole di 130 esseri umani, e anche le onde del mare sembrano diventare più docili.
Il vento sbatte sulle coperte isotermiche, quelle dorate di stagnola, quel fruscio ci si stampa nelle orecchie: un rumore lieve e insistente, come quello di una vita che non si arrende.
I tre bambini si sono risvegliati senza paure: ci abbracciano, e siccome anche per il nostro team è la prima missione non riusciamo a resistere, scansiamo la mascherina, e ci prendiamo l’abbraccio o il bacetto, e soprattutto ci prendiamo quegli occhi grandi che respirano e che sorridono, buffi nelle tute bianche come le nostre, prestate per il freddo.
Il più grande, di 7 anni, mi chiede anche la pettorina INTERSOS/UNICEF, perché vuole essere proprio come noi!
Dalla nave si vede Siracusa, e tra poco sbarcheremo a Catania. Sul ponte una dottoressa italo-congolese, una giovanissima coraggiosa infermiera, la mediatrice culturale e l’educatrice-psicologa, diversi dei 30 marinai e 2 marinaie, eppoi diversi ragazzini e ragazzi, aspiranti calciatori, ricercatori, meccanici… più di 160 persone.
Strano mestiere, quello di salvare vite umane.
Il Comandante dice che questa volta siamo andati al limite delle condizioni della nave, e sul ponte guardiamo uno dei gommoni di servizio, con il motore danneggiato quando nella tempesta i marinai cercavano di issarlo a bordo.
C’è orgoglio, nell'equipaggio, oltre che l’eccellente competenza che ha reso famosa la Guardia Costiera.
C’è orgoglio, nell'equipaggio, oltre che l’eccellente competenza che ha reso famosa la Guardia Costiera.
Strano destino, quello di rischiare la vita per arrivare qui. Siamo arrivati a Catania.
Dopo i nuclei familiari scendono i minorenni non accompagnati, e scendiamo anche noi. Poi scenderanno tutti gli adulti. E ognuno di loro si giocherà la sua carta vincente, per ricominciare con più speranze di quante ne avessero nel loro paese, nel loro villaggio.
Lo avrei fatto anch'io, penso, di fuggire.
E, mentre lo penso, la nave si svuota. I marinai di turno lavano il ponte, e la nave torna linda, pronta per la prossima missione, di salvare persone in fuga che non si arrendono.
(Enrico Noviello, UNICEF Italia)