Patrizio Rispo - In missione con l'UNICEF ad Haiti / 3
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Padre Stra, responsabile del centro Lakou per bambini di strada a Port-au-Prince - ©UNICEF Italia/2007/S.Bucci
Secondo giorno (prosegue) - Un'altra cosa che ho compreso meglio, è che l'UNICEF lavora sempre con altre organizzazioni, spesso organizzazioni non governative (ONG) locali o che comunque, anche se internazionali, sono ben radicate sul territorio.
Nel senso che conoscono bene la gente del posto e soprattutto parlano la loro lingua, il creolo haitiano, un francese musicale infarcito di parole di origine africana, che a me suona quasi familiare.
Buffo è sentirlo pronunciato con accento veneto, quello di padre Stra, indomito salesiano dal 1957 qui "in prima linea". Gestisce un centro di accoglienza per bambini di strada - nella capitale ce ne sono più di 2.000 -, bimbi abbandonati al loro destino a meno che qualcuno, come questo religioso e il suo gruppo di volontari, non se ne faccia carico.
Qui al centro Lakou i bambini trovano un tetto dove dormire, un'assistenza sanitaria e la possibilità di imparare un mestiere ma anche ascolto e gioco che ha questa età rappresentano sempre una buona medicina.
Ci intratteniamo, Ilenia e io, con tutti i ragazzi e le ragazze che stanno seguendo i loro atelier di formazione. Molte ragazze fanno le parrucchiere e stanno facendo pratica le une sulle altre.
Prendiamo in giro Maria Vittoria, una giovane italiana che lavora all'UNICEF Haiti e che ci accompagnerà per tutta la durata del soggiorno, perché ha i capelli cortissimi e non può fare alcuna acconciatura di bellezza.
L'importanza di una seconda chance
Patrizio Rispo tra i ragazzi del centro Lakou - ©UNICEF Italia/2007/S.Bucci
Accanto a queste ragazze, alcune già mamme, c'è il nido che accoglie i piccolini. Ci salutiamo con una bella foto di gruppo; c'è allegria qui intorno anche se i volti di molti ragazzini raccontano la loro storia.
Quello che ho capito che c'è sempre una seconda chance nella vita. O che quanto meno dovrebbe esserci e che fare del bene, fosse anche solo a pochi bambini, è un segnale importante, per tutti.
Padre Stra, che nel giro del centro saltella appoggiandosi a una stampella perché si è fatto male a una caviglia, ci racconta di quando nel periodo più violento di Haiti, venne sequestrato da una gang militare.
«Quando arrivai al cospetto del capo banda, questi cominciò a inveire contro i suoi uomini: 'Ma questo è padre Stra, rilasciatelo subito', ordinò. Era uno dei tanti ragazzini di strada che aveva frequentato il mio centro e ne conservava un buon ricordo. Magari non è diventato uno stinco di santo, ma almeno mi ha rimandato a casa.»
L'immagine di padre Stra che ci saluta senza malinconia, ma già di nuovo nella sua realtà, abbracciato a ridere con i suoi bambini e indifferente al nostro allontanarci, mi convince sempre più che il suo non è lavoro,ma è una missione vera.