Senza scarpe, affamati e senza un posto dove andare, la logica brutale imposta ai bambini di Gaza

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03/10/2025

Gaza City rimane la casa di decine di migliaia di bambini. Bambini senza scarpe spingono i nonni in sedia a rotelle tra le macerie. I bambini amputati arrancano tra la polvere. Le madri portano in braccio bambini la cui pelle sanguina a causa di eruzioni cutanee. I bambini tremano per gli incessanti attacchi aerei. E i bambini guardano il cielo seguendo il fuoco di elicotteri e droni.

La domanda che mi viene posta ovunque a Gaza City - dalle donne, dagli anziani e dai bambini - è: “Dove posso andare per essere al sicuro”? E la risposta rimane la stessa dopo quasi due anni: Da nessuna parte. Nessun luogo è sicuro nella Striscia di Gaza. Eppure, oggi, ad altri 200.000 civili è stato chiesto di lasciare Gaza City, oltre a più di 400.000 persone che sono state costrette a spostarsi verso sud. Un ospedale di Gaza City - il Patient Friendly Hospital, dove sono stato ieri - vede ogni giorno 60-80 bambini ricoverati per malnutrizione e altre malattie. L'unità di terapia intensiva (ICU) per neonati e bambini dell'ospedale di Al Helou è stracolma. L'ospedale è stato bombardato la scorsa settimana.

La logica imposta alla popolazione di Gaza è brutale e contraddittoria. Il nord è stato dichiarato zona a rischio: coloro che rimangono sono considerati come sospetti. Sia chiaro: l'emissione di un ordine di evacuazione generale o indiscriminato per i civili non significa che coloro che rimangono perdano la loro protezione in quanto civili.

"Zone sicureā€: una tragica illusione

Il sud, le cosiddette “zone sicure”, sono anch’esse luoghi di morte. Al-Mawasi, oggi uno dei luoghi più densamente popolati del pianeta, è terribilmente sovraffollato e privato dell'essenziale per la sopravvivenza. L'85% delle famiglie vive nel raggio di dieci metri da fognature a cielo aperto, rifiuti animali, cumuli di immondizia, acqua stagnante o infestazioni di roditori. Due terzi non hanno accesso al sapone. Ho parlato con decine di persone a Gaza City che mi hanno detto tutte la stessa cosa: non hanno soldi per spostarsi, non hanno spazio né tende in cui trasferirsi e anche il sud è pericoloso.

In effetti, la nozione stessa di “zone sicure” nel sud è farsesca: le bombe vengono lanciate dal cielo con agghiacciante prevedibilità. Le scuole designate come rifugi temporanei sono regolarmente ridotte in macerie. Le tende piantate in lotti vuoti non offrono alcuna protezione dalle schegge e spesso vengono incendiate dagli attacchi aerei. Due giorni fa, all'ospedale di Nasser, ho incontrato bambini paralizzati, ustionati o con arti amputati in seguito a colpi diretti sulle tende, il tutto alle due del mattino circa. Qualche giorno prima, all'ospedale di Al Aqsa, ho incontrato molti bambini colpiti da droni.

Quando il mondo si adegua e normalizza questo livello di violenza e privazione, qualcosa si è profondamente rotto. La forza del diritto internazionale non sta nelle parole sulla carta, ma nella determinazione dei Paesi a rispettarlo.

Neonati senza ossigeno, madri senza rifugio

Nel frattempo, la situazione per le madri e i neonati non è mai stata peggiore. All’ospedale Nasser, i corridoi sono pieni di donne che hanno appena partorito. In sei missioni a Gaza, non ho mai visto una situazione simile. Neomamme e neonati vulnerabili distesi sul pavimento.

Tre neonati prematuri condividono un'unica fonte di ossigeno: ogni bambino respira per venti minuti, prima di lasciare il posto al successivo. Una neonata prematura, Nada, che è stata in terapia intensiva per 21 giorni, viene dimessa e ora aspetta fuori, sdraiata sul pavimento del corridoio con la madre. Nada pesa due chili, meno della metà di quanto dovrebbe pesare.

Le donne stanno avendo aborti spontanei durante l'estenuante viaggio dal nord al sud. I medici temono che i virus invernali siano arrivati in anticipo e dai rapporti risulta che negli ultimi due anni sono morti 1.000 bambini e non abbiamo idea di quanti altri siano morti a causa di malattie prevenibili.

Aiuti bloccati, bambini in pericolo

Nel frattempo, gli operatori in prima linea stanno facendo l'impossibile. L'UNICEF e i nostri partner continuano a fornire alimenti terapeutici pronti per l'uso (RUTF) per i bambini malnutriti a Gaza City, mentre in tutta la Striscia di Gaza riparano le linee idriche, consegnano assistenza in denaro, forniscono assistenza per i traumi, insieme ad attrezzature salvavita per i bambini negli ospedali, sessioni di salute mentale e raccolta dei rifiuti.

Ma finché non saranno rimosse tutte le restrizioni all'ingresso e alla consegna degli aiuti umanitari, la fornitura di aiuti salvavita continuerà ad essere terribilmente inadeguata. I media presenti in questa sala stampa sono stati così generosi da ascoltare le informazioni dell'UNICEF decine di volte da quando abbiamo assistito per la prima volta alla carneficina a Gaza.

In questo periodo, abbiamo raccontato una guerra contro i bambini, una carestia e un'epidemia di polio. Sempre e solo con dati e testimonianze. Eppure, in qualche modo, le cose oggi sono peggiori di quelle di allora. Tutti hanno qualche responsabilità, ma le vittime sono solo: ieri, oggi e, senza un'azione significativa, domani, i bambini palestinesi.


Dichiarazione di James Elder, Portavoce dell'UNICEF
durante la conferenza stampa di oggi al Palazzo delle Nazioni di Ginevra

03/10/2025

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