Quelle 500.000 ''facce d'Italia'' che lo Stato non riconosce

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20/11/2012

 
Venti anni sono tanti, soprattutto se sono gli ultimi trascorsi nel nostro paese. Era il Parlamento di un’Italia molto diversa, quello che il 5 febbraio 1992 approvava la Legge 91 "Nuove norme sulla cittadinanza", che tuttora disciplina l’acquisizione della cittadinanza nel nostro Paese.
 
Fondamento di quella normativa era (e rimane) lo jus sanguinis (“diritto di sangue”), ossia il principio per cui chi nasce acquisisce la cittadinanza dei genitori.
 
«La legge 91 è ormai anacronistica, scritta in un’altra “era geologica” in cui ogni anno nasceva sul territorio italiano un numero di bambini figli di cittadini stranieri pari più o meno a quelli che oggi nascono in poco più di un mese» sottolinea Andrea Riccardi, ministro per la Cooperazione internazionale e l’integrazione. 
 
Le sue parole sono accolte con attenzione nell’Auditorium della sede nazionale dell’UNICEF Italia, dove viene presentato il rapporto “Facce d’Italia. Condizioni e prospettive dei minorenni di origine straniera”.
 
Il ministro Riccardi sottolinea gli aspetti umani del problema: i bambini che nascono oggi in Italia non sono stranieri, sono il futuro del nostro Paese. Bisogna uscire dalla concezione emergenziale del fenomeno migratorio, esso è un elemento strutturale, al punto da costringerci a “rielaborare il nostro spazio mentale”, per dirla con le parole di un altro illustre ospite, il professor Luigi Manconi.
 

Progetti che non possono aspettare

A testimoniare l’importanza del fenomeno delle “seconde generazioni” sono le cifre. Nel 2010, cita il rapporto dell’UNICEF, sono nati da almeno un genitore straniero quasi 105.000 bambini, quasi un quinto del totale delle nascite complessive in Italia.
 
La nascita di questi bambini va letta nel modo corretto, come l’inizio di un progetto di vita nel nostro Paese. «I migranti si stanno stabilizzando, sempre più spesso vengono qui per restare e costruire il proprio futuro» prosegue Riccardi. «Oggi quella migratoria è l’equivalente, per importanza e dirompenza, di quella che un secolo fa era la questione dei confini: e non si comprende come possa non ricevere la massima priorità nell’agenda politica una faccenda che riguarda le sorti di mezzo milione di bambini e adolescenti!»
 
Sì, perché 500.000 è il numero degli appartenenti alle “seconde generazioni”, schiera in rapida crescita di bambini e ragazzi nati e cresciuti qui, che parlano dell’Italia come del proprio paese e “parlano i nostri dialetti meglio di noi”, ma che arrivano alla maggiore età – e spesso oltre, perché ci vogliono mediamente 5 anni per acquisire la cittadinanza italiana dai 19 anni in poi – catalogati come stranieri dallo Stato.
 
L’assurdità di questa situazione la raccontano bene Rebecca e Manuela, adolescenti di origine rispettivamente romena ed egiziana, portatrici di due diverse storie di integrazione – una amara e difficoltosa, l’altra quasi perfetta e a tratti surreale per le contraddizioni che mette in luce tra norme e vita reale.
 
Manuela  è nata a Roma, è rappresentante di classe e progetta di andare all’università in Francia, eppure «per 18 anni lo Stato mi ha considerato una straniera. Ho dovuto aspettare 7 anni per rivedere l’Egitto, e fino a quando non ho avuto il passaporto italiano, a 18 anni, non sono potuta andare negli Stati Uniti a trovare mia nonna, malata.»
 

Cittadinanza onoraria, in attesa della riforma

Sono storie come questa che ci inducono a chiedere a questo (o più verosimilmente al prossimo) Parlamento una riforma della legge 91, possibilmente su base bipartisan, chiosa il presidente dell’UNICEF Italia Giacomo Guerrera.
 
Se dal vetusto principio dello jus sanguinis passassimo al più inclusivo “jus soli” (acquisizione della cittadinanza per il fatto di nascere sul territorio, come accade in Francia), rivela uno studio dell’ANCI riportato in “Facce d’Italia”, nel 2029 l’86% dei minorenni stranieri residenti in Italia – quasi tutti nati nel nostro paese – sarebbero cittadini italiani. Se invece rimanesse in vigore la normativa attuale, appena il 7% di questi bambini (quasi due milioni, secondo le proiezioni demografiche) avrebbe tale riconoscimento.
 
«In attesa che cambi la legge, noi sollecitiamo i Comuni italiani a concedere ai bambini nati sul loro territorio la cittadinanza onoraria» conclude Guerrera. «Lo hanno già fatto 61 amministrazioni locali, e altre 106 hanno dichiarato l’intenzione di farlo».
 
Alla conferenza di oggi hanno preso parte anche Kledi Kadiu, testimonial dell’UNICEF Italia per la campagna “Io Come Tu”, la dirigente RAI Mussi Bollini, che ha presentato il videoconcorso RAI-UNICEF “Un minuto di diritti” e Damiano Castelli, General manager di ING Direct Italia, azienda parter dell'UNICEFche ha contribuito al finanziamento del rapporto “Facce d’Italia”.

20/11/2012

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