Indagine ISTAT-UNICEF sulla mortalità infantile: Italia e Paesi poveri a confronto

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27/09/2011

In occasione del lancio della Campagna UNICEF Vogliamo zero", UNICEF Italia e ISTAT hanno realizzato uno studio dal titolo “La mortalità dei bambini ieri e oggi. L’Italia post-unitaria a confronto con i Paesi in via di sviluppo”.

Nell’Italia post-unitaria i bambini morivano per molte delle cause che ancora oggi uccidono nel mondo quasi 8 milioni di bambini in un anno. Alla fine dell’Ottocento i livelli di mortalità in Italia prima del quinto compleanno erano superiori a quelli che oggi l’UNICEF registra in alcuni dei Paesi più poveri del mondo.

Le analogie tra l’infanzia di quell’Italia povera – che pure ha conosciuto uno sviluppo straordinario grazie anche a interventi mirati in difesa dei bambini e delle donne – con l’infanzia dimenticata dei Paesi in via di sviluppo del XXI secolo sono numerose.

Se oggi l’Italia registra tassi di mortalità sotto i cinque anni tra i più bassi al mondo lo si deve a politiche sanitarie nazionali promosse su tutto il territorio, che sarebbero state impensabili senza l’unificazione, oltre che ai progressi della scienza e della medicina nonché  allo sviluppo di una cultura dei diritti dell’infanzia che riconosce il bambino protagonista della vita sociale  e  lo pone al centro di  interventi efficaci. 

Principali risultati

A qualche anno dall’unificazione dell’Italia, quasi un nato su due non raggiungeva il compimento del quinto anno di vita.

In 140 anni di storia il tasso di mortalità passa da circa 400 decessi sotto i cinque anni di vita ogni mille nati vivi a circa 4.

Questo andamento in discesa che caratterizza il nostro percorso ha tuttavia subìto improvvisi arresti e inversioni di tendenza. Sono particolarmente evidenti i picchi di mortalità dei due periodi bellici, durante i quali si assiste ad un generale peggioramento delle condizioni di vita igieniche e sanitarie che colpisce in maniera particolare le fasce più vulnerabili della popolazione.

Nel 1918-19 il picco assomma anche la mortalità dovuta all’epidemia di influenza spagnola (vedi "La mortalità dei bambini ieri e oggi", Grafico 1, pag. 4).  Nel 1931 il tasso di mortalità entro i cinque anni era ancora di 170 decessi per mille nati vivi mentre, scende sotto il 50 negli anni Sessanta e raggiunge il 4 per mille ai giorni nostri.

Nel 1945 la popolazione italiana tra 0 e 15 anni era di circa 14 milioni, pari a un terzo del totale. La guerra aveva lasciato in eredità un esercito di bambini allo stremo. Tra il 1944 e il 1945 la mortalità infantile aveva raggiunto in città come Roma e Napoli il 200 per mille.

Nel 2009 i tassi di mortalità sotto i cinque anni di alcuni paesi, come Ciad, Repubblica Democratica del Congo e Afghanistan coincidono con quelli  che si registravano in Italia negli anni Venti del secolo scorso: si  tratta di paesi profondamente segnati da instabilità politica e conflitti, carenze infrastrutturali e povertà endemica. Netti progressi sono stati invece raggiunti da Eritrea, Bangladesh e anche Mozambico dove i tassi di mortalità infantile sono scesi, tra il 1990 e il 2009, in misura considerevole nonostante le condizioni di estrema povertà e mancanza di risorse. (ibidem Grafico 2, p.5).

Nel 1895 la mortalità sotto i cinque anni in Italia era pari a 326 per mille nati vivi e dovuta quasi per il 50% dei casi a malattie infettive: tra queste influenza, bronchite e polmonite (23%), pertosse (3%), morbillo (3%) e malaria (2%). Più di  un decesso su quattro era dovuto a gastroenteriti, febbri tifoidi e paratifoidi (ibidem Tabella 1 e 2, p.8). Un 27% moriva di altre cause: un gruppo eterogeneo che comprende malattie non dettagliate nelle tabelle 1 e 2 tra le quali si annoverano altre infettive (come il colera), cause di morte connesse alla malnutrizione (come rachitismo e pellagra), dissenteria, cause di origine perinatale e malformazioni congenite.

Non solo la mortalità nel tempo diminuisce, ma  si modifica progressivamente il  quadro delle cause della mortalità, con la progressiva scomparsa delle malattie infettive e l’emergere in termini relativi del peso delle altre cause di morte (malformazioni congenite e condizioni di origine perinatale), gruppo che passa dal 27% nel 1895 al 55% nel 1961 al 92% nel 2008.

Sebbene l’Italia sia oggi tra i paesi al mondo con la mortalità più bassa, il nostro paese non ha sempre occupato le posizioni più favorevoli. Nel 1872, ad esempio, le condizioni di mortalità mostrano un ampio svantaggio dell’Italia rispetto a Francia e Svezia (ibidem Grafico 3, p.5). Il tasso di mortalità osservato per la Francia all’inizio del periodo è pari a 250 per mille nati vivi, valore che viene raggiunto dall’Italia solo dopo quaranta anni, ovvero nel 1911. Solo a partire dagli anni ottanta i livelli di mortalità dei tre Paesi tendono a sovrapporsi.

In particolare se Svezia e Francia hanno impiegato rispettivamente 34 e 33 anni per vedere dimezzati i tassi da 200 a 100 per mille nati vivi, l’Italia ne ha impiegati 26: una velocità che è addirittura maggiore nel passaggio del tasso da 100 a 50.

Qui la Svezia ha  avuto bisogno di 26 anni (dal 1914 al 1939), la Francia di 20 anni (dal 1934 al 1953) e l’Italia solo di 13 (ma dal 1949 al 1962). Questa maggiore velocità della riduzione in Italia è stata favorita dal migliorato contesto e dalle conoscenze mediche più avanzate che hanno garantito una maggiore efficacia degli interventi.

È inoltre da notare come in Svezia, a differenza di Francia e Italia, non si rilevino picchi di mortalità in corrispondenza delle due guerre mondiali, mostrando come l’assenza o la limitazione dei conflitti abbia giocato un ruolo determinante nell’evoluzione della mortalità infantile in questo Paese.

27/09/2011

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